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Di: Lavoro&Welfare di mercoledì 3 giugno 2015 12:25

Considerazioni sul sistema industriale italiano

di Alfredo Sensales

Il sistema industriale italiano considerato nel suo insieme dà lavoro a circa undici milioni di persone, inclusi gli occupati nei servizi privati materiali (dati aggiornati alla fine del 2012).

Il 25% di questi lavoratori svolge le proprie mansioni in manifatture con più di duecentocinquanta dipendenti; a fronte del 44,6% in Francia e del 53,1% in Germania.

Le imprese italiane con più di duecentocinquanta dipendenti rappresentano lo 0,3% del totale nazionale; le francesi lo 0,7% e le tedesche il 2,0%.

Nel 66% delle grandi imprese italiane, le famiglie proprietarie controllano tutto il management, rispetto al 33% in Spagna, al 25% in Francia e in Germania e al 10% nel Regno Unito. Inoltre, in Italia le famiglie proprietarie limitano al minimo le deleghe amministrative, mentre in Spagna, Francia, Germania e Regno Unito ne fanno ampio uso.

Le venticinquemila aziende italiane con più di cinquanta dipendenti occupano cinque milioni di lavoratori, il 46%, e producono quasi la metà del valore aggiunto.

Da ultimo, ma non da meno, le quattro milioni trecentomila piccole aziende con meno di dieci dipendenti che hanno investito poco nella ricerca e hanno perciò limitate capacità innovative, danno lavoro a sei milioni di lavoratori; tra questi, i quattro milioni e settecentomila autonomi, proprietari di piccolissime aziende.

La dimensione media delle aziende italiane è di 9,2 addetti nelle manifatture e di 3,2 nei servizi privati materiali; inferiore a quella delle aziende spagnole (10,3 e 4,2 addetti), francesi (13,9 e 4,9) e tedesche (35,2 e 10,1).

Il valore medio per addetto, calcolato in base ai prezzi del 2008 e aggiunto al Prodotto interno lordo, è di 26.100 euro; simile a quello spagnolo (27.200), ma molto inferiore a quelli tedesco (32.400), francese (44.900) e inglese (50.400).

Questo sistema industriale, caratterizzato dalle piccole e medie imprese, è stato indebolito dalla grave crisi finanziaria che nel 2008 ha colpito l’intera «economia mondo», accrescendo la disoccupazione e la precarietà, ma può ora trarre forza dalle agevolazioni con cui il presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, ha cercato di consolidare la ripresa congiunturale, legata alla diminuzione del prezzo del petrolio, alla discesa dei tassi d’interesse e all’allineamento dell’euro al dollaro.

Dal marzo 2015, il Quantitative Easing e il relativo programma di acquisto dei titoli pubblici hanno infatti iniziato a sostenere i consumi e stabilizzare i Bilanci nazionali, con l’obiettivo di riportare il tasso di inflazione da meno 0,1%, al 2%, per contrastare la deflazione. Le facilitazioni monetarie della BCE rischiano tuttavia di alimentare ulteriori diseguaglianze; a meno che, considerando la mancanza di un Bilancio europeo unico, l’intervento pubblico riequilibri il prelievo fiscale nei singoli Paesi o la rivalutazione delle retribuzioni incrementi il potere d’acquisto dei lavoratori.

Intanto il QE ha effetti immediati sul sistema bancario e sugli investimenti.

Da qui il Decreto del 24 gennaio 2015 (Atto Camera 2844) che il governo Renzi ha proposto per trasformare in Società per azioni, regolate dall’art. 2325 del Codice civile, le dieci Banche Popolari italiane con un patrimonio superiore agli otto miliardi di euro: 1) Unione Banche Italiane; 2) Banco Popolare di Verona; 3) Banca Popolare di Milano; 4) Banca Popolare dell’Emilia Romagna; 5) Credito Valtellinese; 6) Banca Popolare di Sondrio; 7) Banca Popolare di Vicenza; 8) Veneto Banca; 9) Banca Popolare dell’Etruria; 10) Banca Popolare di Bari.

La successiva Legge 3/2015, come hanno più volte chiarito il medesimo presidente del Consiglio e il ministro di Economia e Finanza, prof. Pier Carlo Padoan, facilita il credito alle più innovative tra le piccole e medie imprese, supera il principio “una testa, un voto”, dà ai soci e ai clienti delle BP la possibilità di cambiare conto corrente in dodici giorni e senza spese aggiuntive e punisce con pesanti multe gli amministratori e i dirigenti di banca che trasgrediscono la nuova norma.

Questa legge ha perciò effetti su tutte le settanta Banche Popolari italiane: novemila duecento quarantotto sportelli, ottantuno mila dipendenti, dodici milioni trecentomila clienti e un milione trecento quarantamila soci, un quarto del capitale in Italia e un attivo totale di quattrocentocinquanta miliardi di euro.

Ciò accresce l’importanza del voto contrario di Lega e Movimento cinque stelle che hanno continuato a opporsi anche dopo gli emendamenti apportati dalle Commissioni riunite VI Finanze e X Attività produttive; tra tutti, quello che autorizza i soci delle future società per azioni a esercitare il proprio diritto di voto con il limite massimo del 5% del capitale sociale, ma concede a ogni statuto la possibilità di prevedere limiti maggiori.

Le nuove Spa, che diventeranno operative diciotto mesi dopo la pubblicazione delle regole attuative della Banca d’Italia, da stabilire nelle prossime settimane, tenderanno a conglomerarsi, fondersi e unirsi, come hanno fatto le Banche Popolari Unite e la Banca di Lombardia con l’UBI. La loro trasformazione asseconderà le attività economiche più remunerative e cercherà di prevenire, con la vigilanza della Banca d’Italia, le infiltrazioni della criminalità organizzata, per collegarsi alle capitalizzazioni internazionali e gestire in modo manageriale i risparmi degli imprenditori, la raccolta diretta e i crediti alla clientela, ma comporterà la chiusura di numerosi sportelli, la riduzione del numero e delle competenze dei dipendenti e la rinuncia a tanti legami personali con soci e clienti.

Questa contraddittoria dinamica centralizzerà il capitale bancario nel suo complesso, ma ne ridurrà la base lavorativa, accrescendo l’importanza marginale e la responsabilità delle Banche di Credito Cooperativo: trecento settantanove istituti, quattromila quattrocento cinquantanove sportelli, trentasette mila dipendenti, un milione centonovantanovemila soci e centotrentacinque milioni di impieghi, che coprono il 7,3% del mercato italiano.

Si tratta di un piccolo sistema, fondato sul voto capitario e incentrato sugli investimenti di ICCREA Holding, che critica l’illusoria ideologia dell’isola felice e cerca di prevenire, proprio tramite rapporti fiduciari, ma sempre con la vigilanza della Banca d’Italia, i conflitti d’interesse e le speculazioni illecite.

In particolare dal 2009 al 2013, le BCC, in partnership con la Cassa Depositi e Prestiti, hanno stanziato sei miliardi e trecento milioni di liquidità aggiuntiva ed erogato oltre un miliardo e mezzo di euro a favore delle PMI. Garantendo il 23% delle piccole manifatture e dell’artigianato, il 18% dell’agricoltura e il 17% del turismo e sostenendo il 57% del micro credito alle famiglie e alle imprese con meno di dieci addetti, l’8,7% dei consumi delle famiglie, il 17,8% delle famiglie produttrici, l’8,6% delle società non finanziarie e il 12,8% dei crediti alle istituzioni senza scopo di lucro impegnate nel Terzo settore.

Come ha di recente ribadito il Presidente di Federcasse, Alessandro Azzi, questo piccolo sistema difende i propri livelli occupazionali, mettendo a frutto l’uscita dalla stretta creditizia, senza prestiti di danaro pubblico e senza far perdere un euro ai propri soci. La sua rinnovata solidarietà per i più deboli si esplicita nella scelta di adoperare la quota degli utili destinata ad attività di beneficienza o mutualità, per creare lavoro anche laddove manca, dare vigore alla welfare society nel mondo della sanità, garantire la dignità delle persone attraverso il bene comune, facilitare e incoraggiare la vita delle famiglie e incrementare la collaborazione tra cooperative bancarie e imprese. Concretizzando in tal modo l’esortazione a «mettere insieme le forze!» che papa Francesco ha rivolto agli oltre settemila cooperatori aderenti alla Confederazione Cooperative Italiane.

Da qui la possibilità di contribuire a usare il Quantitative Easing per contrastare la deflazione, stabilizzare il Bilancio, sostenere i consumi e qualificare gli investimenti, assecondare la trasformazione delle Banche Popolari in Società per azioni e consolidare con rinnovata determinazione e coerenza il piccolo sistema delle Banche di Credito Cooperativo.

A condizione che le famiglie proprietarie incrementino le deleghe amministrative nelle grandi imprese e valorizzino le innovazioni nelle piccole e medie. Misurando rappresentanze e diritti dei lavoratori, nella nuova occupazione a tutele crescenti, come nella difesa dei posti di lavoro e, soprattutto, considerando fuori luogo i facili ottimismi.

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