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Di: Lavoro&Welfare di mercoledì 29 aprile 2015 13:31

Dislessia nel mondo del Lavoro – Una disabilità “invisibile” che necessita di tutele e supporto.

A cura di  Elio Benvenuti

La DSA (Disturbi specifici dell’apprendimento), più comunemente conosciuta come Dislessia, è un  disturbo di tipo neurologico che riguarda la decodifica del linguaggio scritto, la capacità di lettura e la capacità di calcolo. In Italia secondo le stime più prudenti riguarda il 2,5% della popolazione, ma in contesti dove il fenomeno è studiato e analizzato  con maggiore attenzione, come il Regno Unito, viene stimato per la sola popolazione scolastica britannica nella misura del 10 %.

L’inserimento nel contesto lavorativo e soprattutto lo sviluppo delle potenzialità del soggetto portatore di DSA sono fortemente compromessi per varie motivazioni, in primis una di carattere generale: in Italia solo il 16% delle persone con disabilità in una fascia compresa tra i 15 e i 74 anni è lavoratore attivo (dati FISH, che evidenziano la differenza rispetto ad esempio al contesto statunitense, in cui la percentuale media sale al 33%).

Vi è inoltre un errore di percezione e conoscenza che porta a far coincidere la DSA con la dislessia, ovvero con la difficoltà di comprensione nella lettura derivante dalla problematicità di associare i grafemi ai fonemi, ma essa non è che uno dei disturbi che possono essere diagnosticati a riguardo. DSA significa anche disgrafia, che porta calligrafia irregolare, difficoltà e lentezza nella riproduzione dei grafemi; disortografia, che porta chi scrive ad errori ortografici continui di varia natura e infine discalculia, che compromette il far di conto anche di base.

A rendere il quadro ancor più complesso, il fatto che ogni individuo può avere uno solo, più di uno o anche tutti questi disturbi e che essi si possono manifestare in misura e gravità diverse.

Ogni dislessico è dunque anche profondamente diverso dall'altro.

Un altro errore frequente  è quello di ritenere la DSA un problema prevalentemente scolastico. In Italia la sensibilità su questo fenomeno si è sviluppata solo negli ultimi 20 anni, a differenza del più avvezzo contesto anglosassone, e questo porta a vederne gli effetti principalmente sulla popolazione scolastica (solo di recente lo spettro si è ampliato all’ambiente universitario).

La legge quadro sulla dislessia, la 170 del 2010, ne è la dimostrazione concreta, perché affronta la questione solo rispetto al mondo della scuola.

In realtà tale disabilità crea le problematiche maggiori proprio nel mondo del lavoro, un ambiente meno "protetto" rispetto a quello scolastico e con standard più alti nelle mansioni richieste al personale. Il contesto odierno è poi caratterizzato da lavori molto più concettuali rispetto al passato, spesso caratterizzati dall’utilizzo della parola scritta e dall'elaborazione testuale.

Il problema, prima ancora di riguardare la carenza normativa, riguarda l’approccio sociale e culturale, che porta la DSA ad essere "invisibile" e non compresa.

La sostanziale mancanza di valutazione statistica e sociologica, innanzitutto, rende oscure le reali dimensioni dell'impatto di questa disabilità sulla società e si somma ad un problema più generale inerente l’approccio con qualunque tipo di disabilità, basato su un criterio datato e focalizzato sull’immediata riconoscibilità della disabilità stessa.

Questo metodo  empirico, se sbagliato per le disabilità "classiche" perché ragiona per sottrazione di capacità, risulta particolarmente discriminante per la dislessia, e finisce per mettere i dislessici nella particolare condizione di essere una minoranza nella minoranza.

Chi si trova a collaborare con un soggetto avente DSA si trova sovente disorientato, poiché le difficoltà emergono pienamente solo in alcuni contesti e solo durante attività particolari, e questo innesca non di rado un meccanismo di diffidenza, che porta a vedere quelle stesse difficoltà come un tentativo di mascherare incapacità, inefficienza e scarsa intelligenza.

Questa impostazione culturale trae origine, in gran parte, dall'orientamento di tipo medico, che indirizza la gestione dei rapporti con i servizi pubblici e la produzione legislativa. Tale approccio, che tende ad osservare la disabilità solo negli aspetti patologici, utilizzando parametri quantitativi standardizzati, si contrappone al più efficace - ma certamente più complesso e più costoso - metodo socio-ecologico, che osserva il fenomeno dal punto di vista delle ricadute sociali. Il metodo socio-ecologico appronta soluzioni adattative, volte al pieno inserimento della persona diversamente abile nel contesto del mondo lavorativo e imposta un modello sociale di disabilità in cui si è disabili non per i disturbi di cui si soffre, ma rispetto alla risposta sociale ad essi. Se è vero che il primo metodo è quello più utilizzato, è anche vero che esso è limitante e financo controproducente, come ad esempio rilevato negli studi Beegle Stark del 2003 sull'American With Disabilities Act.

L'approccio di tipo socio-ecologico osserva la questione oltre la patologia, ricerca l'inserimento delle persone nel contesto sociale e l’armonizzazione con l’ambiente specifico in cui la disabilità emerge.

Tale metodo, più costoso nelle modalità di adattamento del diversamente abile e complesso nelle modalità di studio per analizzare e ricercare delle soluzioni, viene nei fatti non attuato.

La situazione viene complicata dalla possibile minore produttività della persona e dai rischi legati in caso di licenziamento, considerati dalle aziende superiori alle agevolazioni e agli incentivi presenti nelle norme.

A tutto questo bisogna aggiungere la già citata non conoscenza della DSA, che mostra quanto quegli strumenti di adattamento possano risultare proibitivi nella percezione del datore di lavoro, che considererà ad esempio l’installazione di un programma di video-lettura per un dislessico più complessa e costosa rispetto all'istallazione di una rampa agli ingressi per un paraplegico.

 

Tutto ciò non incentiva la creazione di un ambiente, che a fronte di uno sforzo nella riorganizzazione di un ufficio permetterebbe di mettere in luce le capacità organizzative di chi ha questo disturbo.

Secondo l'approccio socio-ecologico un ambiente "Dyslexia Friendly” è caratterizzato da una condizione di accomodamento tramite supporti tecnici e una piccola riorganizzazione del lavoro, attraverso ad esempio software specifici e un lavoro di gruppo con colleghi e collaboratori che non hanno l’obiettivo di mascherare o ridurre il deficit, ma al contrario di esaltare le capacità professionali che spesso il soggetto DSA ha sviluppato in autonomia. L’organizzazione e la creatività, per fare due semplici esempi, si sviluppano giorno per giorno grazie all’abitudine a superare e risolvere in modo sistematico difficoltà oggettive in ogni ambiente, dalle più  banali alle più complesse.

Le sopracitate soluzioni per realizzare un ambiente lavorativo cosiddetto "Dyslexia Friendly" esistono e trovano la massima espressione negli Stati Uniti e nel Regno Unito, paesi in cui linee guida e prassi consolidata supportano sia le aziende sia il lavoratore nella risoluzione dei problemi di inserimento, ma soprattutto nella valorizzazione delle capacità del soggetto, anche tramite consulenti specializzati.

In Italia, come già detto, il quadro legislativo è inadeguato e tali supporti non sono ancora stati realizzati.

L’unico passo concreto nella direzione degli ambienti lavorativi “Dyslexia Friendly”, ispirato alle realtà sopra citate, è rappresentato dal progetto “DSA: Progress For Work”, realizzato dalla Fondazione Italiana Dislessia in collaborazione con l'Associazione Italiana Dislessia e varie aziende presenti sul territorio nazionale. Il progetto, ha l’obiettivo di creare linee guida per sensibilizzare e accreditare le aziende anche nel nostro Paese, si basa sulla letteratura e sulle pratiche già sviluppate nel mondo anglosassone, per poter dare alle aziende gli strumenti per valutare le reali capacità di un candidato in un ambiente adatto all'interno dell'azienda e contestualmente sviluppare soluzioni per supportare il lavoratore dislessico stesso nella comprensione e nello sviluppo delle sue capacità e dei suoi punti di forza.

Ulteriore scopo è quello di portare ad un dibattito a livello nazionale sulla DSA e iniziare così a superare l’attuale vuoto di conoscenza che impedisce a migliaia di lavoratori il giusto inserimento nel mondo del lavoro.

Tale progetto sarà presentato nel corso del Convegno Nazionale sulla Dislessia organizzato dalla AID a Napoli il 15-16 maggio 2015.

 

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2 Commenti »

  1. Comment by Beatrice nuti — 29 aprile 2015 @ 21:52

    Molto interessante, molto utile!

  2. Comment by ALfoso — 1 maggio 2015 @ 06:26

    belli bene! ma ciaoooo…. la dislessia NON e’ una disabilita’…. ochette… attenti alle parole….

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