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Di: Lavoro&Welfare di lunedì 8 aprile 2013 19:05

Il mercato mondiale dell’auto continua a crescere!

di Piero Pessa


Nei primi mesi del 2012 il mercato mondiale degli autoveicoli ha continuato a crescere anche rispetto ai già brillanti risultati del 2012: proiettando i risultati dei primi mesi sull'intero volume delle vendite annue si può prevedere più di 85 milioni di veicoli venduti. Se si realizzasse questo risultato si supererebbe di oltre 5 milioni il volume complessivo del 2012: un nuovo record storico.


La Cina si conferma come il paese con i volumi di vendite più rilevanti, mentre la domanda si dimostra sostenuta anche negli Stati Uniti, nel Giappone e nel Brasile. Viceversa il mercato indiano dimostra una netta contrazione per effetto del generale incremento dei prezzi e degli elevati tassi d'interesse di quel paese, con probabili conseguenze negative che si protrarranno per l'intero 2013.


In Europa continua la tendenza negativa del mercato con una riduzione della domanda a due cifre percentuali. In particolare lo domanda flette nei paesi con i mercati più consistenti: Germania, Francia, Italia, Spagna. Anche il ciclo positivo della Russia sembra sia terminato. In controtendenza crescono il Regno Unito e la Turchia, ma l'espansione della domanda in questi paesi non compensa il generale crollo delle vendite.


Secondo i dati dell'Anfia, in Italia, nel primo trimestre del 2013, le immatricolazioni sono state meno di 355.000, con una contrazione del 13% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La proiezione su base annua porterebbe a un risultato poco superiore a un milione di vetture vendute. E' opportuno ricordare che nel 2012 l’Italia ha immatricolato 1,4 milioni di autovetture, con una riduzione del 19,8% rispetto al 2011 e del 44% rispetto al 2007. L'ultima volta che l'Italia ha visto un livello così basso delle vendite di auto è stato 47 anni fa, nel 1966, quando furono acquistati un milione di veicoli. E' logico ritenere che una parziale ripresa del mercato italiano non sia prevedibile senza la formazione di un governo che effettui alcune scelte di politica economica tese a aumentare i consumi e la fiducia dei consumatori.


Per quanto riguarda l'Italia la riduzione della domanda interna è accompagnata da una riduzione ancor più accentuata della produzione per effetto delle scelte del suo principale e unico produttore, la Fiat. Da una parte si deve rilevare che nel 2012 la Fiat ha perso in Europa oltre 700 milioni di euro e il suo amministratore delegato, Sergio Marchionne, ha previsto che la casa automobilistica raggiungerà il pareggio nel 2016. Marchionne sembra affidarsi soprattutto al marchio Chrysler, visto che ha aumentato costantemente le vendite nel corso degli ultimi mesi (marzo è stato il 36 ° mese consecutivo di crescita). Inoltre punta sui modelli alti di gamma, con i marchi Maserati e Alfa Romeo e attua politiche aggressive di prezzo soprattutto nel mercato della Germania.


D'altra parte la rilevante riduzione della produzione è legata al sostanziale blocco degli investimenti negli stabilimenti di Cassino e Mirafiori con il rilevante ricorso alla cassa integrazione, al mancato avvio dei nuovi modelli, questione che a sua volta influisce negativamente sulle quote di mercato della Fiat. In realtà sembra ormai che il più volte annunciato avvio degli investimenti in questi stabilimenti sia sostanzialmente legato al processo di unificazione societaria tra i marchi Fiat e Chrysler e alla complessa trattativa che si è aperta tra Marchionne e il sindacato UAW, detentore di un consistente pacchetto azionario della Chrysler (41%), che Marchionne deve integralmente acquistare per avere il 100% delle azioni e realizzare il processo di unificazione. L'allungamento dei tempi della trattativa pone un interrogativo a cui è difficile dare una risposta da parte di un osservatore esterno: è solo un problema di prezzo delle azioni, su cui si attende anche l'esito della causa legale in corso, oppure dietro questa trattativa vi è anche il nodo della localizzazione dei futuri investimenti? E' possibile che sul tavolo della trattativa vi sia il tentativo del sindacato statunitense di condizionare le future scelte produttive e la localizzazione degli investimenti?


 

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