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Di: Lavoro&Welfare di mercoledì 11 febbraio 2015 15:52

Una idea per uscire dalla crisi – Emidio Silenzi

Pubblichiamo uno scritto di Emidio Silenzi, direttore regionale INAIL Calabria, contenente alcune proposte per migliorare l'attività di prevenzione e qualificare la spesa pubblica.

Da anni, ormai, ci troviamo al centro di un sistema che non ci consente vie di uscita: se non vogliamo alzare il debito pubblico siamo costretti a tagliare la spesa pubblica e con essa il servizio reso ai cittadini.

Infatti, di recente, abbiamo assistito ad una serie di tagli lineari che non hanno fatto altro che aggravare una situazione economica già di per se compromessa.

Certamente una oculata operazione di taglio agli sprechi avrebbe potuto sortire migliore effetto, ma i tempi ristretti in cui si è stati costretti ad operare  non hanno consentito la pianificazione degli interventi sulle reali sacche di inefficienza della Pubblica Amministrazione e, quindi, poter pianificare in maniera ponderata la revisione della spesa pubblica.

Abbiamo detto revisione  e non riduzione della spesa, la riduzione, infatti, comporta semplicemente dei tagli mentre la revisione comporta la necessità di spendere in maniera più produttiva, anzi sarebbe meglio dire in maniera produttiva, semplicemente.

In realtà, in questi ultimi governi abbiamo solo assistito a tagli della spesa, mai alla revisione anche se il termine adottato “spending rewiev” lasciava intendere che dovesse essere fatta la revisione e non quei tagli lineari che avrebbero poi comportato il baratro economico nel quale siamo precipitati.

Oggi assistiamo più o meno passivi ad un rincorrersi di disposizioni che a tutto servono tranne che a risolvere la crisi e a rilanciare veramente l’economia.

Spesso nell’approvare una legge o un qualsivoglia provvedimento normativo si fa riferimento, prima di ipotizzarne l’approvazione, alla copertura finanziaria, quindi senza copertura finanziaria niente leggi.

Mi sono più volte chiesto se è proprio questo l’esatto modo di agire e soprattutto se questo è l’esatto modo di agire in un momento di crisi quale quello che stiamo vivendo.

I miei studi universitari umanistici, con particolare attenzione ai problemi economici e politici oltre alle mie esperienze professionali, ormai ultra trentennali, mi hanno invece sempre portato a pensare ad una spesa più come un investimento, piuttosto che ad una spesa come un costo.

Oggi molto spesso si sente parlare di sprechi ma spesso non ci si accorge che tali sprechi sono causati da provvedimenti legislativi che, nel pieno rispetto della c.d. “copertura finanziaria” al momento della adozione, creano successivamente delle perdite economiche, a volte, anche di notevole entità.

Quindi fare Leggi che hanno la necessaria “copertura finanziaria” ci potrebbe esporre a perdite economiche successive di gran lunga superiori al risparmio ottenuto con il rispetto della “copertura finanziaria”.

Il mio pensiero al riguardo è quello di dovere orientare il legislatore verso “Leggi Investimento” piuttosto che verso leggi che prevedano la necessaria “copertura finanziaria” o peggio se riguardano solo tagli improduttivi.

Assimilabile al concetto di “Leggi investimento” può essere inteso il documento del MEF emanato nel 2012 per l’anno 2013 che, lungi dall’essere un documento di facile comprensione, parla di “leggi pluriennali di spesa” e per esse prevede che ciascuna amministrazione dello Stato faccia tutta una serie di relazioni attestanti la congruità degli impegni di spesa rispetto alle attività poste in essere da ogni amministrazione, e per far questo pone in rilievo anche gli O.I.V. – Organismi Interni di Valutazione – oltre ai già presenti Uffici Centrali di bilancio e agli uffici delle Amministrazioni Centrali.

Il documento, tuttavia, presenta un importante punto di caduta nel lasciare all’Amministrazione gestore delle spese pluriennali il compito di relazionare  sui risultati raggiunti.

Immaginiamo  se, in Italia, ci potrà mai essere una relazione presentata al 20 settembre di ogni anno che preveda di non avere raggiunto, senza giustificato motivo, uno degli obiettivi programmatici che sono stati assegnati a questa o quella Amministrazione Centrale!

È del tutto evidente che non può essere questo il modo di procedere.

Altro esempio che clamorosamente ci dà l’idea di come si brancoli nel buio quando si affronta il problema dell’efficacia di una spesa è senz’altro costituito dalla c.d. “CONSIP”.

È a tutti nota la finalità con cui venne attivato questo .. strumento? – l’obiettivo dichiarato era portare ad un risparmio della spesa nelle pubbliche amministrazione tramite economie di scala che avrebbero dovuto portare le stesse amministrazioni ad ottenere significativi risparmi  sugli acquisti di beni e servizi

Lo strumento, piuttosto, è servito a scaricare di responsabilità i dirigenti pubblici e forse ad arricchire pochi grossi imprenditori piuttosto che centrare gli obiettivi di risparmio che la Legge si era prefissata.

Ma ciò che sorprende maggiormente da tutta questa attività è l’andamento della spesa pubblica  in Italia che dal 1997 ad oggi è aumentata del 68,7% e che anche nell’ultimo anno abbiamo assistito ad un incremento della spesa complessiva e, ancor più sorprendente, la spesa pro – capite in Italia è la più bassa d’Europa dopo la Spagna!

E allora come dobbiamo leggere questi dati?  E, soprattutto, come li dobbiamo leggere in una ottica di sviluppo?

La mia idea è che nel resto d’Europa la spesa pro capite è produttiva, in Italia non lo è!

La CONSIP non garantisce alcun guadagno per il cittadino e poi non è neppur  vero che garantisce una minor spesa pubblica, si potrebbe fare molto di più spendendo meno e facendo funzionare bene la P.A.

In tal senso abbiamo tanti esempi virtuosi di una P.A. che funziona ed è efficiente, sarebbe sufficiente replicarli ma soprattutto non tagliarli!

Abbiamo una P.A. composta da un esercito, in percentuale notevole, di bravi dipendenti pubblici che, se gestiti in maniera  radicalmente diversa da come sono gestiti oggi, potrebbero svolgere una immensa opera di coinvolgimento e di sostegno alle azioni del Governo e per fare questo non servono leggi nuove o radicali riforme ma servirebbe “semplicemente” tanta formazione manageriale.

Nelle leggi, in buona sostanza, si guarda alla copertura finanziaria, quasi che fossero tutte di natura puramente assistenziale, e forse è proprio questo il problema sono spesso di natura esclusivamente assistenziale, spesso servono a tappare dei “buchi” mai ci troviamo davanti a leggi investimento, leggi di prospettiva , leggi di sviluppo, in una parola leggi che dovrebbero garantire il futuro del nostro Paese e quindi anche il futuro dei nostri figli.

 

 

DA DOVE PARTIRE

Di idee sull’argomento ne potrei esporre parecchie anche in virtù delle mie pregresse esperienze professionali: ormai ultra trentennali sia nel settore privato (Autostrade SPA) sia nel pubblico (Ministero della Difesa) sia nel settore della previdenza e assistenza (INAIL),

Un problema che spesso viene trascurato è costituito dalla verifica dei risultati che spesso non avviene  o che non è efficace per gli scopi che erano stati prefissati, pensiamo agli esempi fatti in precedenza ma anche alle leggi di stabilità o più ancora quelle di programmazione che come detto sono fatte in base a copertura finanziaria ma mai a prospettive di ritorno economico.

Ecco, la verifica deve essere fatta in base a elementi oggettivi, non aggirabili con le classiche relazioni che mai evidenziano mancati raggiungimenti di obiettivi, o quanto meno giustificano ampiamente il mancato raggiungimento con decine di motivi tutti escludenti responsabilità proprie di questo o quell’ufficio o struttura o amministrazione.

Con questo non ritengo si debba, né si possa, intervenire sulle modalità del controllo, ne verrebbero fuori pagine e pagine di normativa specifica che tutto potrebbero fare tranne che risolvere il problema della verifica!

Il meccanismo di controllo deve essere più elementare e soprattutto distribuito in modo capillare su tutto il territorio nazionale in modo tale da renderne efficace ed effettivo anche il risultato, si può pensare al riguardo all’impegno delle amministrazioni territoriali locali, direi dei Comuni che, partendo da settori quali “igiene e salute” cioè dal “benessere collettivo” potrebbero far ripartire il Paese.

Il settore mi entusiasma sia perché la salute è al primo posto dei desideri di ciascuno di noi, sia perché per essa c’è  una montagna di soldi che viene spesa in maniera poco efficace; sia perché da essa, con facilità, si può ben verificare il vantaggio (guadagno) economico dall’iniziativa: basterà vedere quante persone in meno si ammalano in un certo periodo, per sapere a quanto ammonta il guadagno per tutti noi!

Ho detto “si ammalano meno” e non “si curano”, la differenza non è certo di poco conto: non ci dobbiamo ammalare,  certo ci interessa anche essere curati ma se non ci ammaliamo .. non dobbiamo neppure spendere i soldi per curarci!

Verificare quante persone in meno si ammalano e quindi quanto si risparmia è senz’altro un dato più sicuro rispetto a quello che si ottiene chiudendo un ospedale, mentre i malati aumentano e con essi anche i costi pro-capite!

Si potrebbe approfondire questo discorso partendo da un ambito locale circoscritto, per esempio da una Regione che, come noto, ha una competenza specifica in tema di sicurezza, intesa come safety.

Se diamo   prima una occhiata al panorama di riferimento, ci accorgiamo meglio che l’unica strada percorribile appare, al riguardo, quella della prevenzione, ogni anno si spendono centinaia di miliardi di Euro per  la spesa sanitaria .

 

IL RAPPORTO OCSE 2014

Il rapporto OCSE 2014 segnala che la spesa sanitaria in Italia continua a calare: - 3 per cento sul 2013; senz’altro frutto degli interventi di Governo che ha imposto alle Regioni quei tagli di cui abbiamo parlato in precedenza  e che hanno comportato come conseguenza naturale quella di non pagare i fornitori e quindi di far aumentare il costo dei medicinali, non solo quelli rimborsati dalla Regione  con il Servizio Sanitario Nazionale o, peggio, contenere i disavanzi di bilancio facendo chiudere gli ospedali e non perché diminuiscono le malattie ma solo per mere esigenze di bilancio.

La quota PIL relativa alla spesa sanitaria del 2012 è stata pari a 9,2 per cento (media OCSE 9,3; mentre negli USA è 17,7 per cento in Francia 11,6 in Svizzera 11,4 in Germania 11,3.

Mentre la spesa pro – capite in $ americani,   a parità di potere di acquisto è in Italia di $ 3209  con una media OCSE di $ 3484 con un settore pubblico che in Italia partecipa al 77 per cento della spesa contro un 72 della media OCSE.

L’aspettativa di vita in Italia è di 82,3 anni, superiore alla media OCSE che è di 80,2; nel 2012 soltanto il Giappone, l’Islanda, la Svizzera e la Spagna avevano una media superiore.

In Italia a fronte di un numero di medici pari a 3,9 per 1000 abitanti ci sono 6,4 infermieri con una media OCSE di 3,2 medici ma ben 8,8 infermieri e soprattutto, in Italia è minore il numero di posti letto: 3,4 per 1000 abitanti contro un 4,8 della media OCSE mentre 12 anni fa l’Italia aveva 4,7 posti letto per ogni abitante: cioè è stato ridotto il servizio, che ad oggi, nonostante i 12 anni trascorsi  sarebbe ugualmente risultato minore di quello che garantisce la media OCSE!

La spesa sanitaria pubblica in Italia è pari a 111 Miliardi di Euro l’anno  vale a dire circa 2490 $ per ogni abitante mentre la spesa sanitaria per ogni abitante in Olanda è di circa 4000 $ in Danimarca di circa 3600 $

Tra le Regioni italiane che spende di più ci sono Valle d’Aosta, Liguria, Trentino, Bolzano, Friuli, Lazio e Molise; chi  spende meno: Veneto, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia, Abruzzo.

Con i pochi dati estrapolati non è facile fare una analisi che possa spiegare i motivi per cui nel Molise c’è il massimo della spesa pro-capite e nel vicino Abruzzo c’è quasi il minimo!

 

UNO STUDIO INAIL

 

Per portare avanti la nostra proposta di intervento sulla spesa pubblica nell’ambito della sanità, ci possiamo avvalere di un interessante studio fatto dall’INAIL sulla valutazione dei costi sociali degli infortuni.

L’argomento, articolato e complesso per i suoi risvolti di carattere morale e sociale, che ci accingiamo ad illustrare nei suoi aspetti puramente economici riguarda la stima del costo degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali per l’azienda Italia effettuata nel 2009.

All’infortunio sono collegati tutta una serie di oneri e di spese, in gran parte difficilmente valutabili, che si aggiungono al costo diretto delle prestazioni assicurative.

Tali oneri (costi indiretti) risultano principalmente attribuibili al tempo perduto per i primi soccorsi all’infortunato, alla diminuzione di produttività dovuta ai danni alle macchine e all’addestramento del sostituto, alla perdita di immagine, ai salari comunque versati durante il periodo di inattività e alle spese per le pratiche amministrative e giuridiche.

Accanto ai costi diretti e indiretti è bene considerare anche l’investimento in prevenzione, che se da un lato può essere visto come un vero e proprio costo per l’azienda, dall’altro può rappresentare un efficace strumento di “convenienza economica”.

Esiste infatti una correlazione inversa tra costo della prevenzione e costo indiretto per cui all’aumentare del primo diminuisce il secondo.

Ovviamente tale utilità marginale, derivante dal ricorso a misure di prevenzione, risulterà a un certo punto sempre meno determinante per la riduzione dei costi; ciononostante in Italia, ad oggi, l’impatto vantaggioso che ne deriva è ancora consistente.

 

È in questo ambito che assumono particolare importanza tanto le spese sostenute dall’azienda in fase di impianto, quanto quelle in corso di produzione: le prime finalizzate all’allestimento del luogo di lavoro e dei mezzi e macchinari da utilizzare, le seconde improntate al miglioramento dell’organizzazione della sicurezza e dell’igiene sul lavoro, al controllo dello stato di salute dei lavoratori e dei dispositivi di protezione, nonché all’aggiornamento attraverso corsi di formazione.

 

Il costo complessivo dei danni da lavoro si può quindi articolare nelle seguenti tre componenti: il costo assicurativo (diretto), il costo conseguente non assicurativo (indiretto) e il costo per la prevenzione, salute e igiene nei luoghi di lavoro.

 

 

CONCLUSIONI

Dei quasi 48 miliardi di euro spesi in Italia per far fronte al costo degli infortuni e delle malattie professionali nel 2007 appena 16 sono stati destinati alla prevenzione, quota che risulta in continua espansione (tanto che nella stima del valore del costo al 2012 toccherà quasi il 40% del costo complessivo) e che costituisce il principale mezzo attraverso il quale contrastare il costo sociale ed economico legato ai danni da lavoro.

Quanto stimato porta a ritenere che in Italia l’investimento in prevenzione e l’accrescimento di una vera e propria cultura della prevenzione costituisca ancora, oltre che un obbligo morale da ottemperare da parte del datore di lavoro e dal lavoratore, anche e soprattutto un fattore di convenienza economica per l’intera collettività.

Dall’analisi dei risultati relativi, emerge che alla tendenziale crescita del costo per la prevenzione  corrisponde una diminuzione dei costi diretti ed indiretti: tale costo, infatti, aumenta meno che proporzionalmente rispetto alla diminuzione degli altri costi, a riprova dell’esistenza di una correlazione inversa tra investimento in innovazione tecnologica, intesa come spesa per la prevenzione, e costo complessivo dei danni da lavoro, inteso come spesa economica e sociale dell’intero Paese.

Le conseguenze socio – economiche degli infortuni sul lavoro sono meglio analizzate da un interessante articolo di Antonio Valenti su www.adapt.it che, nel Maggio del 2012 ha condotto uno studio sul documento INAIL visto in precedenza e con il quale veniva dimostrato che il danno economico causato da infortuni e Malattie Professionali comportava una spesa complessiva pari ad oltre il 3% del P.I.L.

Oltre ai costi diretti: costi sanitari, perdite di produzione, danni ai mezzi di produzione dell’azienda, sanzioni, ecc. vanno calcolati i costi indiretti: riduzione della produttività della forza lavoro, costi amministrativi, spese per il personale (sostituzione infortunato) aumenti delle polizze assicurative, aumenti premi INAIL, ecc. a questi costi vanno poi aggiunti i c.d. costi nascosti cioè quelle spese che generalmente non figurano nei bilanci aziendali, ad es quelli derivanti dal danno all’immagine.

Molto importante, dunque, poter  fare una attenta valutazione economica che permetta di rendere evidenti i costi e i benefici della salute, anche per l’influenza che tale valutazione potrebbe esercitare sulle idee dei responsabili che devono prendere decisioni e sui responsabili delle politiche della sicurezza all’interno di una azienda. Né più né meno di quello che genericamente si fa per valutare la fattibilità di un investimento o per la scelta tra più alternative di investimento.

D’altro canto il miglioramento delle condizioni di lavoro e la realizzazione di interventi migliorativi sul versante della sicurezza personale impiegato, oltre alla diminuzione dei costi da infortunio, portano senz’altro ad un miglioramento generale dovuto ad un aumento della motivazione del personale, ad un aumento della collaborazione della forza lavoro, ad un miglioramento del clima aziendale nel suo complesso, quindi anche ad una maggiore produttività magari anche alla introduzione di nuovi metodi di lavoro, sicuramente ad una diminuzione del contenzioso, probabilmente anche ad un mantenimento più a lungo del personale in azienda, insomma molteplici fattori, tutti positivi a testimoniare i vantaggi di un lavoro sicuro.

Basta quanto sopra per far immediatamente comprendere come la sicurezza in azienda, ben lungi da rappresentare un costo, diventa invece un “business” che darebbe la possibilità al datore di lavoro di eliminare costi aggiuntivi per tutti: per i lavoratori, per le loro famiglie .. dunque per tutti noi cittadini, per lo Stato.

Del resto è noto lo studio fatto da I.S.S.A International Social Security Association su 300 aziende di 15 Paesi mondiali inteso a dimostrare come ogni euro speso in prevenzione porti ad un risparmio di spese di ben 2,2 Euro addirittura il ritorno in termini di benefici come detto prima, arriva a 7,6 Euro per la sorveglianza sanitaria e a 4,5 Euro per gli investimenti in  formazione.

Dal sondaggio è anche emerso che le aziende hanno riscontrato un miglioramento nelle prestazioni aziendali (21%) e con pari percentuale anche nel miglioramento dell’immagine dell’azienda.

Altre considerazioni emergenti dallo studio: le grandi aziende sono più propense e più convinte, rispetto alle piccole,  degli effetti della sicurezza sul buon andamento dell’azienda nel suo complesso.

Ecco è proprio sulla efficacia della valutazione economica dei costi – benefici che si potrebbe sviluppare il tema della sicurezza in azienda, sicurezza che dovrà essere intesa come benessere collettivo – organizzativo  frutto di una valutazione congiunta tra lavoratori, specialisti, esperti finanziari e leadership aziendale (Management).

Nonostante tanti attori negli ultimi anni si siano avvicinati al tema della valutazione economica della prevenzione, sicurezza e igiene in azienda, non esiste ancora un reale strumento di stima data la complessità e molteplicità dei fattori che devono essere presi in esame.

Potrebbe essere questa l’occasione giusta per creare   nel nostro Paese e nella propria azienda una procedura ad hoc per la valutazione economica della sicurezza, magari attraverso progetti o ricerche condotti a livello nazionale e internazionale che consentano di far finalmente venire meno  la convinzione che spendere soldi per la prevenzione sia un costo piuttosto che un investimento.

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