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Di: Lavoro&Welfare di martedì 25 marzo 2014 10:12

Work life balance: non solo una questione femminile

di Chiara Scuvera


Nel nostro Paese il tema dell’innovazione del mercato del lavoro è stato e viene spesso affrontato, in termini di abbassamento delle tutele civili e sociali, da alcuni considerate un ostacolo alla competitività delle imprese e un deterrente per l’internazionalizzazione passiva. Si pensi, ad esempio, alla battaglia ideologica sull’art. 18 dello statuto dei Lavoratori, peraltro già modificato, accompagnata dalla diffusione dell’idea che offrire opportunità ai giovani è utilizzare un contratto unico a tempo indeterminato, ma con libertà di licenziamento. Ritengo invece che anche per i nuovi assunti debbano valere le tutele contro il licenziamento illegittimo, per non ingenerare altro precariato e non acuire un conflitto generazionale spesso alimentato dallo stereotipo dei “garantiti” (che poi sarebbero i lavoratori e le lavoratrici con i diritti).


Per innovare, abbattere costi a carico delle imprese e, al contempo, dare più benessere ai lavoratori e alle lavoratrici occorre agire sull’organizzazione aziendale, pubblica e privata,informandola a una maggiore flessibilità, puntando su semplificazione e informatizzazione dei processi. Occorre, ad esempio, che il cosiddetto work life balance entri a pieno titolo nell’ordinamento giuridico, come principio ispiratore dell’organizzazione, non solo per realizzare condizioni di pari opportunità tra uomini e donne (su cui spesso gravano i compiti di cura familiare) e incrementare e promuovere l’occupazione femminile, ma anche per elevare la produttività del lavoro e rendere più competitive le nostre imprese. Le organizzazioni aziendali che si avvalgono delle leve di conciliazione, infatti, riducono notevolmente il tasso di assenteismo dei dipendenti e delle dipendenti.


Il 2014 è l’anno europeo del work life balance: il legislatore italiano non può non cogliere questa grande opportunità e il Partito Democratico deve farsi promotore, nel Paese, di una grande iniziativa politica, proponendo una strategia nazionale.


Occorre mettere a sistema le misure di conciliazione già esistenti nel sistema, ma in modo frammentario e a volte inconsapevole: dalla banca ore ai servizi salva tempo (per esempio assistenza fiscale interna per i dipendenti), dai congedi parentali (che vanno ampliati) ai nidi aziendali. Occorre, poi, valorizzare le buone prassi esistenti sui territori.


La Lombardia, ad esempio, è incubatore di reti territoriali, regionali e provinciali, di conciliazione vita-lavoro che hanno dato vita a progettualità interessanti, avvalendosi anche di finanziamenti europei. Nella mia provincia, Pavia, si va dal telelavoro nella pubblica amministrazione alla rete d’imprese family friendly (ossia con organizzazione aziendale e servizi a misura di famiglia), nata da tre imprenditrici agricole e che ora conta più di dieci imprese di diversi settori.


Facendo conciliazione si cambia la cultura aziendale, la si rende più moderna e più efficiente, si fa responsabilità sociale d’impresa. L’impresa family friendly è quella

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che non inquina e che si fonda sulla qualità, è quella che occupa donne, è quella che rilancia la centralità dell’infanzia. Romanticismo? No, progresso; e costruzione anche di un nuovo welfare che vede un grande protagonismo del terzo settore e del welfare aziendale. Quella del secondo welfare è una sfida da cogliere: il discrimine con la privatizzazione è il mantenimento di una forte governance pubblica, che facilita la costituzione di alleanze sociali ed economiche per sostenere lavoro e felicità delle persone. E’ lo spirito delle ALF tedesche, alleanze per la famiglia, un modello reticolare ed orizzontale che porta anche a un nuovo protagonismo di anziani e bambini.


Per sistematizzare occorre ricondurre le leve di conciliazione sotto un comune denominatore. E’ questa la ratio della nostra proposta di legge intitolata “Modifiche all’art. 2107 del codice civile e al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nei settori pubblico e privato”, con cui si introduce il principio di conciliazione vita-lavoro come principio organizzativo, si istituisce la figura professionale del responsabile della conciliazione e si normano le misure (finanziarie, di servizio, organizzative e culturali), da adottarsi sia nel lavoro pubblico che in quello privato. La proposta di legge non prevede sanzioni, mirando ad interiorizzare e a diffondere la cultura del work life balance e avendo l’ambizione di rappresentare il primo passo verso un testo unico in materia.


Già il Consiglio europeo straordinario di Lisbona del 23-24 marzo 1996 diede l’obiettivo di “favorire tutti gli aspetti delle parità di opportunità, con riduzione della segregazione occupazionale e promozione della conciliazione professionale/vita familiare con il miglioramento dei servizi all’infanzia”. Ne è passato del tempo e ancora questo importante obiettivo in Italia non è realizzato, assistiamo invece a una drammatica povertà di bambini e adolescenti e a una forte disoccupazione. Anche su questo fronte l’Europa viaggia a più velocità: il 2014 è un’occasione di più forte integrazione delle politiche del lavoro e sociali.


Avviamo tutti insieme, politca, imprese e lavoratori, una nuova stagionedelle politiche aziendali, utilizzando le nuove conoscenze e sfruttando appieno le potenzialità della tecnologie, per una primavera del welfare e dei diritti.


 


 


 

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