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Di: Lavoro&Welfare di martedì 30 ottobre 2012 12:36

A CIASCUNO IL SUO

L'Associazione Lavoro&Welfare si è sempre occupata del pianeta Professioni e piccole imprese. Abbiamo organizzato seminari e pubblicato numeri monografici della nostra rivista. Oggi vogliamo riprendere il

dibattito su questa tematica attivando il nostro Osservatorio, che sostituisce il precedente Gruppo di lavoro. L'Osservatorio è aperto al contributo dei nostri iscritti e di tutti coloro che vorranno offrire un contributo alla conoscenza di un mondo che interessa milioni di professionisti, lavoratori autonomi, piccoli imprenditori. Cominciamo con una riflessione di Andrea Dili dell'Associazione 20 maggio sui contenuti della legge di stabilità. Il confonto è aperto.

Giovanni Battafarano




A CIASCUNO IL SUO

di Andrea Dili – Portavoce Associazione XX Maggio

Per anni abbiamo sentito ripetere il ritornello che la politica non fosse in grado di assumere decisioni lungimiranti per il bene del nostro Paese in quanto troppo legata all’esigenza di conseguire, o non perdere, il consenso elettorale. La ricerca di tale consenso, quale unico o primario obiettivo dell’azione politica, avrebbe infatti impedito il realizzarsi delle riforme necessarie allo sviluppo e alla sostenibilità del sistema Italia.

Per i sostenitori di tale assioma il governo Monti rappresenterebbe la dimostrazione inequivocabile che per adottare provvedimenti impopolari ma indispensabili per il futuro del Paese occorra necessariamente l’intervento di tecnici, disinteressati in quanto tali a qualsiasi forma di consenso comune e, in più, portatori di competenze ignote al sistema politico. Si è da più parti sostenuto, infatti, che soltanto un governo di tecnici avrebbe potuto varare provvedimenti quali il riordino del sistema pensionistico, la riforma del mercato del lavoro, la riorganizzazione delle professioni e, da ultimo, gli interventi a livello fiscale.

Se ricordiamo la schizofrenia delle politiche economiche, fiscali e del lavoro del precedente governo non vi è dubbio come tale assunto più che un assioma si configura quale teorema che trova la propria inequivocabile dimostrazione nella realtà degli ultimi anni. Ma se per un istante, appropriandoci di un ruolo altrui, guardassimo alle politiche montiane con la fredda impassibilità dei tecnici, saremmo così sicuri di giungere alla medesima conclusione?

Al contrario, si ha l’impressione che proprio questo governo sia stato via via sedotto dal miraggio della ricerca del consenso piuttosto che da una ferma volontà di affrontare e risolvere, tecnicamente, i reali problemi del Paese. In realtà, con il passare del tempo e con l’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale l’azione dei tecnici ricorda sempre più quella di un ordinario governo politico. La fase iniziale dei provvedimenti fortemente impopolari (imu, pensioni) è stata progressivamente sostituita da una azione volta a conseguire, seppure nel contesto di una situazione oggettiva di sofferenza, il maggior gradimento possibile: ne è un esempio lampante il tentativo di trasferire il prelievo fiscale dalle imposte dirette (tangibile) alle imposte indirette (intangibile), così come previsto dalla legge di stabilità. Le stesse dichiarazioni del ministro Grilli, il quale sostiene che tali provvedimenti avranno effetti positivi per il 99% dei contribuenti, principalmente per le fasce di reddito più basse, sono inequivocabilmente prive di ogni fondamento tecnico se si pensa che proprio i redditi più bassi (ovvero quelli fino a circa 10.000 euro con familiari a carico) non avranno alcun beneficio dalla riduzione dell’irpef mentre saranno inevitabilmente incisi dall’aumento dell’iva.

A ben vedere, gli stessi provvedimenti adottati nei primi mesi di governo lasciano molte perplessità proprio da un punto di vista tecnico. L’innalzamento dell’età pensionabile, ad esempio, rappresenta sicuramente una determinazione impopolare, probabilmente lungimirante ai fini della sostenibilità del sistema, ma sicuramente lacunosa da un punto di vista etico, sociale – e tecnico – allorché dimentica migliaia di persone (i cosiddetti esodati), soggetti che hanno pianificato la propria uscita dal mercato del lavoro sulla base di un patto con lo Stato che trova il suo fondamento nella legge. Ecco, cambiare le regole del gioco a partita in corso, quando ciò significa mettere a rischio la stessa dignità delle persone, può essere considerato nella migliore delle ipotesi un atto di realpolitik. Ma allo stesso tempo non esiste nulla di meno tecnico che un atto che viola un patto con lo Stato, che salvaguarda alcuni soggetti per penalizzarne altri soltanto sulla base delle coperture finanziarie di volta in volta disponibili. È tecnico un atto che a fronte di un problema individua una soluzione equa e univoca, non lo è ciò che a parità di condizioni determina effetti diversi.

Analogamente, continuare a concepire norme tributarie con effetto retroattivo e in evidente contrasto con il patto Stato/cittadini sancito dallo statuto del contribuente, nel solco della peggiore consuetudine delle ultime stagioni, risponde soltanto a esigenze di gettito piuttosto che di equità e giustizia sociale. La contraddizione, e la frustrazione, emerge ancora più forte nel momento in cui tali provvedimenti vengono spacciati come tecnici.

Se poi guardiamo alla riforma del mercato del lavoro, essa presenta numerosi aspetti discutibili, specialmente sul capitolo relativo al lavoro autonomo: la norma sulle false partite iva, ad esempio, è talmente enigmatica che, a seconda dei punti di vista, può essere alternativamente definita come il capolavoro del tecnicismo o il panegirico della complicazione. Siamo sicuri che tutto ciò risponda al principio fondamentale di certezza del diritto?

Proprio la certezza del diritto, l’equità, la giustizia sociale dovrebbero essere i capisaldi su cui elaborare la politica economico/sociale del nostro Paese: ma per realizzare effettivamente ed efficacemente tali obiettivi  siamo sicuri che si possa prescindere dal consenso?

In tal senso, più che di tecnici politici avremmo bisogno di politici tecnici.

 

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