di Giovanni Battafarano
Il dibattito sulla Delega lavoro ha finito inevitabilmente per concentrarsi sull’ennesimo intervento sull’art.18, modificato appena due anni fa dalla legge Fornero. Saggezza legislativa avrebbe suggerito di monitorare gli effetti della riforma prima di procedere ad una nuova modifica. I primi dati a disposizione ci dicono infatti che sono molto aumentati i casi di conciliazione tra le parti, a conferma che per questa parte la riforma funziona. La legge Fornero aveva stabilito che, in caso di licenziamento illegittimo per motivi economici, il giudice può ordinare la reintegra o il risarcimento economico. In tal modo, la disciplina dei licenziamenti italiana ha finito con l’assomigliare molto a quella tedesca. Del resto, il modello tedesco è tornato di moda, proprio grazie alle parole del Presidente del Consiglio. Con la differenza che in Italia la reintegra parte con le aziende con più di quindici dipendenti; in Germania, nelle aziende con più di dieci dipendenti.
Nonostante la recente riforma, il Governo ha deciso una nuova modifica: prevista la reintegra contro i licenziamenti discriminatori, viene invece abolita la reintegra contro i licenziamenti illegittimi per motivi economici, per i quali si prevede solo l’indennizzo. Finora è rimasta incerta la sorte della reintegra in caso di licenziamenti illegittimi per motivi disciplinari. La Direzione del PD, in una riunione ai primi di ottobre, ha deliberato testualmente “Il diritto al reintegro viene mantenuto per i licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare, previa qualificazione specifica della fattispecie”. Questo solenne deliberato politico finora non è stato recepito nella Delega. Nell’ultima riunione della Direzione PD del 12 novembre, il Premier Renzi ha accennato alla possibilità o di varare il Jobs Act così come licenziato dal Senato o di apportarvi talune modifiche, a condizione che la Delega sia approvata entro l’anno.
Il punto diventa allora:quali modifiche? Anzitutto, il ripristino della reintegra in caso di licenziamenti disciplinari illegittimi; poi l’aumento delle risorse per gli ammortizzatori sociali sia in considerazione del protrarsi della crisi sia per l’estensione degli ammortizzatori in chiave universalistica; i controlli a distanza sugli impianti più che sui lavoratori; un reale sfoltimento dei contratti di lavoro precarizzanti; una disciplina dei voucher per limitarli ai lavori caratterizzati da stagionalità nonché per le attività saltuarie e di limitato valore economico; l’introduzione del compenso orario minimo nei settori non regolati dai contratti collettivi; realizzazione del monitoraggio sugli effetti della legge sul mercato del lavoro; l’introduzione dei congedi dedicati alle donne inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere.
C’è da augurarsi che il confronto in atto in queste ore tra Governo e Parlamento porti all’accoglimento dei punti sostanziali di modifica. Il Jobs Act ne uscirebbe migliorato e si lancerebbe un segnale positivo al Paese, nel quale una grande tensione: si moltiplicano i conflitti sociali, territoriali, etnici e le contestazioni agli esponenti del Governo o delle Istituzioni né mancano gruppi politici che soffiano sul fuoco. Il messaggio che deve pervenire dal Governo deve essere duplice: di cambiamento e di coesione. Il primo senza la seconda si depotenzia.
Il tema della ricerca della coesione introduce l’ultimo aspetto che vorrei toccare. Nelle ultime settimane abbiamo assistito ad uno scambio di ruvidezze tra Governo e sindacati, in particolare con la CGIL. Anche taluni frettolosi incontri a Palazzo Chigi non hanno migliorato il clima. La CGIL ha indetto lo sciopero per il prossimo 5 dicembre. Altri scioperi unitari CGIL CISL UIL sono stati indetti nel settore pubblico. Mi pare evidente che non si sia ancora trovato una modalità corretta e innovativa di rapporto tra Governo e Parti sociali. Tra le modalità della ipertrofica Concertazione al tempo dei Governi Ciampi, D’Alema e Prodi e l’assenza di rapporti odierni, non ritengo impossibile individuare una soluzione intermedia. Si stabilisca su quale materia si concerta, su quale si consulta, su quale si informa; si stabiliscano tempi certi per ciascun momento e procedure snelle; si evitino tavoli sterminati di sigle, che possono appagare qualche ansia di presenzialismo, ma normalmente risultano scarsamente produttivi. L’esigenza di uscire presto e bene dalla crisi richiede non la guerriglia tra politica e forze sociali, ma un confronto forte di idee e di proposte nell’interesse dei lavoratori, delle imprese, dell’Italia.
Giovanni Battafarano Segretario Generale Associazione Lavoro&Welfare
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