Per offrirti un servizio su misura nuovo.lavorowelfare.it utilizza cookies. Continuando la navigazione nel sito autorizzi l'uso dei cookies.  OK   Scopri di più

 
       
Di: Lavoro&Welfare di lunedì 30 luglio 2012 11:13

Interpellanza Urgente sulla situazione della FIAT e del comparto automobilistico italiano

Pubblichiamo il testo dell'interpellanza urgente presentata in Aula dall'on. Cesare Damiano sulla situaizone della Fiat e del comparto automobilistico italiano a firma Damiano, Bersani e altri. A seguire l'illustrazione in aula, la risposta del Ministro e la replica.

Orientamenti del Governo in ordine alle prospettive del comparto automobilistico e della mobilità – 2-01616
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
la colossale opera di risanamento e contenimento dei conti pubblici, volta a ripristinare la credibilità complessiva dei fondamentali della nostra economia, rischia di veder vanificare gli effetti dei pur pesanti sacrifici richiesti a quasi tutti gli strati sociali, laddove non fosse accompagnata da un forte impegno per la salvaguardia di quel tessuto produttivo che rappresenta tuttora il secondo complesso manifatturiero europeo;
è fin troppo evidente, infatti, che,senza una forte politica di sostegno e rilancio produttivo, il continuo indebolimento del denominatore nel rapporto debito/prodotto interno lordo, che si registra da anni e che si sta accentuando in questi mesi (da ultime, le dure previsioni di Confindustria), rischia di avvitarci in una spirale recessiva che non potrà non comportare anche un aggravio della finanza pubblica;
da questo punto di vista, le recenti affermazioni dell'amministratore delegato di Fiat, relative alla possibile prossima chiusura di un altro stabilimento industriale del gruppo dopo quello di Termini Imerese, destano – forse sarebbe meglio dire, dovrebbero destare – una profonda preoccupazione in tutti coloro che hanno a cuore le sorti di un comparto industriale, che equivale, tenendo conto dell'intera filiera e nonostante le flessioni degli ultimi mesi, all'11 per cento del prodotto interno lordo;
del famoso piano «Fabbrica Italia» sembra non esservi più traccia, nemmeno dal punto di vista delle intenzioni, tenuto conto degli evidenti ritardi nella sua realizzazione e a fronte di scenari che sembrano radicalmente cambiati. Si pensi solo che nel 2010 si prevedeva «di incrementare gradualmente i nostri volumi di produzione negli stabilimenti italiani fino al 2014, quando raggiungeranno 1.400.000 unità, più del doppio delle 650.000 prodotte nel 2009». Al contrario, nel 2011 la produzione di automobili negli stabilimenti Fiat in Italia è risultata inferiore a 480.000 unità, ovvero di meno 200.000 veicoli rispetto alla previsione del piano, per cui, per arrivare all'obiettivo ipotizzato per il 2014, si dovrebbe registrare un incremento di un milione di automobili nel triennio 2012-2014;
non c’è dubbio che sia l'intero mercato continentale a registrare una contrazione, ma le performance delle diverse imprese europee sono assai diversificate e il gruppo italiano è quello che sembra subire maggiormente l'andamento negativo delle vendite, tenuto conto anche di una limitata varietà e innovatività della gamma dei modelli offerti;
anche la francese Peugeot ha annunciato tagli all'occupazione per 10 mila posti, ma a differenza del caso italiano, come si può leggere nel numero di Affari e finanza del 9 luglio 2012, l'allegato al quotidiano la Repubblica, il Governo d'oltralpe è immediatamente intervenuto e, per iniziativa del Ministro per il riassetto produttivo, Amaud Monteborg, ha annunciato «un piano per salvare la filiera dell'auto francese in una fase di contrazione del mercato», invitando i vertici del gruppo Psa a «fare immediatamente la massima trasparenza sulle loro intenzioni». Affermazioni, se possibile, ancor più rafforzate dallo stesso Presidente Hollande. Al contrario, in Italia, sempre secondo quanto riportato dal citato supplemento giornalistico, il Ministro dello sviluppo economico si sarebbe limitato ad affermare che «nessuno può mettere in discussione le scelte di un'azienda privata. Lo Stato può intervenire con aiuti all'innovazione e alla competitività»;
in materia di politiche industriali volte a favorire la mobilità mediante veicoli che non producono emissioni di anidride carbonica, sin dall'ottobre 2009, il Partito democratico ha presentato un'apposita proposta di legge che nel giugno 2012 ha concluso una prima fase di esame presso la Commissione attività produttive, commercio e turismo della Camera dei deputati e di cui si auspica un sollecito varo definitivo e un sostegno decisivo da parte del Governo;
va rilevato, inoltre, che la strategia sin qui seguita dal gruppo Fiat – e non solo – per quanto riguarda la redistribuzione delle produzioni, da un lato, è certamente orientata a soddisfare la richiesta di mercati emergenti, come nel caso brasiliano, dall'altro sembra prediligere i territori extra-Unione europea, come nel caso serbo, dove non vigono le restrittive regole comunitarie in materia di aiuti alle imprese;
agli esordi del suo mandato, lo stesso amministratore delegato Fiat riconobbe che l'incidenza del costo della manodopera sul prezzo finale dei prodotti automobilistici si aggira attorno all'8 per cento, evidenziando la relativa marginalità di tale dato rispetto alle altre componenti riconducibili alla capacità organizzativa delle imprese e ai costi delle materie prime;
se questi sono alcuni degli elementi che caratterizzano le sorti del principale gruppo industriale italiano, viene da chiedersi: se si ha un'idea del modello economico-industriale che si ritiene più appropriato per il nostro Paese; se si ritiene auspicabile il mantenimento di un sistema produttivo che rappresenta tuttora il secondo complesso manifatturiero dell'Europa o ci si rassegna ad assistere a un progressivo impoverimento del comparto industriale proprio nei settori più innovativi e con i più alti tassi di contenuto tecnologico, scivolando verso un'economia di servizi o di produzioni tradizionali e a basso valore aggiunto e produttività, ritagliandoci un ruolo marginale nella suddivisione internazionale del lavoro; in sintesi, se si ha ancora l'ambizione di continuare a concorrere con la Germania o se si pensa di potercela cavare inseguendo i Paesi di nuova industrializzazione;
nel recente rapporto Isfol su «Le competenze per l'occupazione e la crescita» si evidenzia un quadro davvero preoccupante: con riferimento agli andamenti dei dati occupazionali 2010-2011 si può leggere, infatti, «in termini generali, non si può non osservare come il contenuto della crescita occupazionale risulti fortemente caratterizzato da occupazioni a bassa o media qualificazione, ovvero di tipo low-skilled, come nel caso del lavoro di assistenza (circa 60 mila lavoratori in più) e nel commercio (circa 30 mila addetti in più)»; e più avanti: «Le previsioni diffuse dal Cedefop (Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale) nel marzo 2012 per il totale dei Paesi comunitari indicano una robusta crescita delle opportunità di lavoro verso professioni caratterizzate da elevate competenze»; tuttavia, «Il nostro Paese si allontana dal trend europeo: le previsioni per il futuro mostrano in Italia una stagnazione della crescita delle professioni a elevata specializzazione e una crescita delle professioni elementari. Le professioni tecniche, dopo un quindicennio di crescita, mostrano un assestamento sui valori registrati nel 2010. Prosegue l'andamento decrescente delle professioni manuali qualificate. Il disallineamento tra offerta e domanda di competenze, segnalato al Cedefop, è in Italia più elevato rispetto ad altri Paesi: il fenomeno del sottoinquadramento caratterizza i livelli più scolarizzati della forza lavoro, specialmente la componente giovanile nella fase di ingresso nell'occupazione. Anche il livello delle competenze della forza lavoro qualificata nel nostro Paese risulta inferiore rispetto ai maggiori Paesi europei: oltre ad avere una quota di professioni ad elevata specializzazione tra le più basse nel confronto continentale (superiore solo ad Austria e Portogallo), la base occupazionale con i livelli professionali più elevati è composta per poco più della metà (53,6 per cento) da lavoratori con istruzione terziaria, a fronte del 70,6 per cento della media comunitaria, del 72 per cento della Germania e del 71 per cento della Francia. La dinamica registrata nel periodo 2004-2010 evidenzia come in Italia ad un incremento di occupati con istruzione terziaria, di poco superiore alla media europea, non sia corrisposto un aumento delle professioni high-skilled, che risultano, invece, diminuite con un tasso di variazione negativo secondo solo a quello del Portogallo. Un simile scenario rivela una distorsione sensibile nella dinamica delle competenze nel nostro Paese, dove l'incremento di laureati non viene assorbito in misura sufficiente dall'aumento delle professioni ad elevata specializzazione, tradizionalmente composte da occupati con istruzione –: terziaria»
quali siano gli orientamenti del Governo relativamente alle prospettive di un settore chiave per il comparto industriale italiano quale è quello automobilistico e della mobilità e quali siano le strategie che si intendono mettere in campo, attraverso il più ampio coinvolgimento dei diversi attori economici, sociali, di rappresentanza dei territori, nonché del mondo della scienza e della ricerca, al fine di salvaguardare una presenza significativa della capacità produttiva nazionale, di occupazione e di know how di cui l'Italia è da sempre all'avanguardia;
quali atti concreti e immediati si intendano assumere al fine di avviare un confronto con i responsabili del gruppo Fiat per definire obiettivi, procedure e soluzioni volti a scongiurare un ulteriore impoverimento della struttura industriale italiana e dare sollecita attuazione al piano «Fabbrica Italia»;
più in generale, quali siano, pur tenendo conto della particolare congiuntura economico-finanziaria in cui ci si trova ad operare, le iniziative che si intendono adottare al fine di mantenere e rafforzare i connotati industriali del sistema economico italiano, favorendo i settori a più alta intensità innovativa e tecnologica;
se non ritengano opportuno facilitare, per quanto di propria competenza, un sollecito iter delle iniziative legislative volte a sostenere le forme di mobilità a minor impatto ambientale.
(2-01616) «Damiano, Bersani, Bonavitacola, Bratti, Capano, Cilluffo, Misiani, Mosca, Pizzetti, Pollastrini, Rugghia, Dal Moro, D'Antona, D'Antoni, De Micheli, De Pasquale, Fiano, Fogliardi, Garofani, Giovanelli, Lolli, Lovelli, Marantelli, Marchignoli, Margiotta, Marini, Pierdomenico Martino, Giorgio Merlo, Tenaglia, Livia Turco, Maurizio Turco, Vannucci, Mazzarella, De Torre, Bellanova, Berretta, Bobba, Boccuzzi, Codurelli, Gatti, Madia, Mattesini, Miglioli, Rampi, Santagata, Schirru, Gasbarra».

 

 

Seduta n. 673 di giovedì 26 luglio 2012

CESARE DAMIANO. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, parlare del comparto automobilistico in Italia significa parlare di un punto decisivo della struttura produttiva e industriale, quindi è anche un'occasione per andare oltre la specifica condizione del comparto stesso.
Vorrei sottolineare che noi non disconosciamo l'importanza e l'esigenza, in una situazione così drammatica per l'economia, di portare avanti una politica di rigore, così come sta facendo il Governo, né disconosciamo l'azione importante e positiva del Presidente del Consiglio svolta in Europa, che ha consentito di riportare il nostro Paese a livelli qualitativi e di capacità di intervento per contrastare la crisi, in una politica di chiaro stampo europeo, l'unica che potrà dare risposte in prospettiva.
Vorremmo però sottolineare anche un'insufficienza, a nostro avviso, dell'azione del Governo per quanto riguarda il rapporto tra rigore, sviluppo ed equità sociale che il Presidente del Consiglio aveva, giustamente, evocato al momento del suo insediamento e della costituzione del Governo cosiddetto tecnico.
A noi pare che sui temi sviluppo ed equità sociale vi siano dei difetti, delle carenze, che vanno assolutamente corretti, anche perché di rigore esclusivo si può morire.
Avvertiamo che in Europa c'è un'aria nuova, che, con la caduta di Sarkozy in Francia, l'arrivo del socialista Hollande all'Eliseo, anche la Germania del Cancelliere Merkel è costretta a considerare che la parola «sviluppo» è importante. Quella discussione nuova è stata in grado anche di portare, ad esempio, iniziative per contrastare la questione dello spread - e, quindi, l'idea del «salva-spread» - e la questione legata ai project bond. Insomma, una qualche novità, timidamente, si sta affermando e noi vorremmo che anche questo avvenisse in Italia.
Per questo siamo partiti dal caso FIAT, perché ancora una volta è emblematico, però non vogliamo nascondere, signor sottosegretario, che accanto al caso della FIAT stiamo in qualche modo rivisitando un insieme di situazioni, purtroppo, molto difficili e molto drammatiche, che attraversano l'insieme del panorama produttivo industriale del nostro Paese.
Vorrei ancora una volta ricordare che siamo la seconda Nazione europea per manifattura dopo la Germania. Non vorremmo assistere inerti alla desertificazione industriale, perché accanto alle questioni FIAT, delle quali parlerò più in dettaglio, vorrei ricordare a volo d'uccello la questione dell'Alcoa, che pone un problema di scelta strategica per quanto riguarda un comparto importante, quello dell'alluminio. Penso poi alla situazione della siderurgia. Abbiamo il problema dell'Ilva, in particolare a Taranto, che dovrà essere affrontato e che si sta affrontando, con tratti anche drammatici per quanto riguarda i temi dell'occupazione nel rapporto con una città.
Abbiamo un insieme di situazioni che ci fanno chiedere qual è il futuro produttivo industriale di questo Paese, se non c'è una politica industriale di supporto capace di sostenere i settori strategici dell'economia, della manifattura e della produzione, senza voler disconoscere il valore della produzione immateriale, della produzione intellettuale e della logica dei servizi a supporto dell'impresa. Se non c'è, però, un tessuto industriale primario, difficilmente potremo dare risposte sul terreno dell'occupazione.
Venendo alla questione della Fiat, piuttosto emblematica, noi, signor sottosegretario, abbiamo una grande preoccupazione. Abbiamo apprezzato la capacità di Marchionne di creare nella globalizzazione un'alleanza con gli Stati Uniti e con la Chrysler, che sicuramente ha segnato un punto di successo. Tuttavia, non vorremmo che questa alleanza fosse in qualche modo l'anticipazione di un abbandono delle produzioni industriali, non soltanto dell'auto, in Italia. Non vorremmo che in qualche modo questa vocazione alla globalizzazione, sicuramente indispensabile, tagliasse le radici dell'esistenza di una fabbrica, che ha segnato lungamente il destino industriale di questo Paese.
Non parliamo soltanto di Termini Imerese, stabilimento che, purtroppo, va incontro ad un destino che non vede per il momento alternativa. Aggiungiamo che l'azienda sta mettendo in discussione un altro stabilimento. Si parla di Cassino, e anche questo è un colpo molto grave in una situazione del centro-sud dell'Italia già segnato da problemi di crisi. Vogliamo aggiungere che lo stesso stabilimento gioiello di Pomigliano, con la nuova produzione della Panda, affronterà nel mese di agosto, purtroppo, la cassa integrazione.
Diciamo che, anche per quanto riguarda l'insediamento di Mirafiori a Torino, non sappiamo quale sarà il destino di quella unità produttiva. Non sto parlando da torinese della Mirafiori, che ho conosciuto quando ero un giovane funzionario della FIOM, a metà degli anni Settanta, in una situazione nella quale in quell'unica fabbrica c'erano 60 mila dipendenti. Non sto parlando più di Rivalta, di Chivasso o del Lingotto, che avevano altri 40 mila dipendenti. Non sto parlando della Torino con 100 mila dipendenti direttamente interessati alla produzione automobilistica, ai quali si aggiungeva una sterminata marea di lavoratori dell'indotto. Sto parlando di quel che sopravvive, ovvero di 12 mila persone a fronte delle vecchie 100 mila: 12 mila persone dal destino incerto.
Allora, che cosa fare? Noi riteniamo che il Governo debba intervenire e farlo con energia. Non basta un dialogo a distanza con l'amministratore delegato della FIAT o dell'impresa.
Occorre un intervento capace di dare risposte precise, non soltanto per quanto riguarda il settore dell'auto. Noi siamo anche preoccupati per il settore dei veicoli industriali, delle macchine in movimento terra, siamo preoccupati per la scomparsa di un polo per la costruzione degli autobus. Pensiamo soltanto alla fine che faranno i lavoratori della Irisbus, trecento lavoratori, duemila dell'indotto. Il Governo ha intenzione di dare il segno della costruzione di un polo dei trasporti? Noi dovremo sostituire il parco autobus obsoleto. Lo faremo comprando i prodotti della Francia e della Germania e sacrificando uno stabilimento pilota, perché non siamo in grado di intravedere una strategia di politica industriale per quanto riguarda settori fondamentali, come quello della mobilità?
Allora, quello che chiediamo in sostanza al Governo è di fare un intervento che in qualche modo ponga una domanda. La pone al Paese, a noi stessi, alla FIAT: che fine ha fatto il progetto «fabbrica Italia»?
Noi eravamo in una situazione nella quale la FIAT ha parlato con questo progetto di un investimento di 20 miliardi di euro e abbiamo salutato con favore questa possibilità, perché non ci sfugge l'elemento di ricaduta positiva per quanto riguarda il prodotto industriale e la salvaguardia dell'occupazione. Si pensi che, quando parlavamo di questo progetto nel 2010, si prevedeva di incrementare gradualmente i nostri volumi di produzione negli stabilimenti italiani fino al 2014, quando avrebbero raggiunto, secondo le previsioni, 1 milione e 400 mila unità prodotte, più del doppio delle 650 mila prodotte nel 2009. Ma che cosa è successo? Al contrario, nel 2011, rispetto a queste previsioni, la produzione negli stabilimenti FIAT in Italia è risultata inferiore alle 480 mila unità, cioè 200 mila veicoli in meno rispetto alle previsioni del piano. Per arrivare all'obiettivo ipotizzato per il 2014 si dovrebbe registrare un incremento di 1 milione di automobili nel triennio 2012-2014, traguardo che pare impossibile. Che fine hanno fatto questi obiettivi? Che fine hanno fatto queste risorse?
Quando parliamo di ruolo del Governo, intendiamo dire che non vogliamo un ruolo diverso da quello di altri Governi europei, e non soltanto. Si pensi a quello che ha fatto Obama negli Stati Uniti per sostenere il settore dell'auto; si pensi a quello che ha fatto la Germania della Merkel, la Francia di Sarkozy e recentemente la Francia di Hollande. Quando la francese Peugeot ha annunciato nei giorni scorsi tagli all'occupazione per 10 mila posti, che cosa è stato detto? È stato detto dal Ministro delle attività produttive francese che è necessario un piano per salvare la filiera dell'auto francese in una fase di contrazione del mercato. Quel Ministro ha invitato i vertici del gruppo PSA a fare immediatamente la massima trasparenza sulla loro intenzioni.
Quindi, noi vorremmo in sostanza che ci fosse un'azione propositiva del Governo, di interlocuzione oggettiva con la FIAT e con le parti sociali, la ricerca di un tavolo per intervenire nella situazione, semplicemente non assistere a quello che sta capitando, anche perché noi vediamo delle grosse contraddizioni nel comportamento della FIAT: da una parte, l'amministratore delegato Marchionne in più occasioni, anche di carattere pubblico, ha affermato: «Noi non chiediamo aiuti allo Stato. Noi facciamo da soli».

Noi non pensiamo che questa sia una politica saggia, soprattutto se, a fronte di questa affermazione, l'amministratore delegato sceglie di investire in quei Paesi extraeuropei nei quali la possibilità di intervento dello Stato aggira le logiche che si è giustamente data la Comunità europea.
Quindi, questi sono i problemi. Concludo dicendo che abbiamo anche apprezzato il fatto che nel decreto sviluppo vi sia una prima azione a sostegno dell'auto elettrica, che tra il 2013 e il 2015 prevede 190 milioni di euro di investimento, ma chiediamo, sottosegretario, se il Governo sostanzialmente ha intenzione di convocare i vertici FIAT e successivamente le parti sociali per chiarire al Paese quali siano le intenzioni delle aziende e per rassicurare il Paese circa l'investimento previsto nel piano «fabbrica Italia», e con questo anche dare rassicurazioni circa le ricadute occupazionali degli stabilimenti della FIAT italiani.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Claudio De Vincenti, ha facoltà di rispondere.

CLAUDIO DE VINCENTI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, è chiaro che le preoccupazioni espresse dall'onorevole Damiano e dagli altri deputati nell'interpellanza che stiamo considerando sono anche preoccupazioni del Governo italiano circa il futuro dell'industria italiana e, in particolare, di una parte centrale dell'industria italiana come quella automobilistica.
L'orientamento perseguito dal Governo nei confronti del settore automobilistico si inquadra nelle indicazioni strategiche europee recentemente sintetizzate nel documento CARS 21 e si può peraltro ricondurre all'opportunità di avvicinare quanto più possibile sia il mercato sia l'industria nazionale dell'auto al mercato e al confronto competitivo con gli altri competitor europei.
Interverrò sulle quattro questioni specifiche poste alla fine dell'interpellanza, in realtà alcune anche molto generali, come anche adesso l'onorevole Damiano ha sottolineato. Partirò dall'ultimo punto sollevato nell'interpellanza, che chiede se il Governo non ritenga opportuno facilitare per quanto di propria competenza un sollecito iter delle iniziative legislative volte a sostenere le forme di mobilità a minore impatto ambientale.
Giusto adesso anche l'onorevole Damiano ricordava che nel decreto-legge sviluppo è stato recepito nella sostanza il disegno di legge elaborato in questo ramo del Parlamento, largamente condiviso dai gruppi parlamentari (il Governo è molto soddisfatto di questo recepimento), sulle auto a basse emissioni, tra le quali c'è anche l'auto elettrica. In particolare, l'approccio seguito è un approccio cui il nostro Ministero è molto affezionato, cioè quello di neutralità tecnologica: incentivo alla pari per tutte le tipologie di auto a basse emissioni, in modo che, via via che emergeranno le tecnologie più efficienti e più coerenti con gli obiettivi ambientali, queste possano affermarsi e poi essere sostenute più in specifico.
Aggiungo che questo recepimento all'interno del decreto-legge Sviluppo del progetto di legge a iniziativa parlamentare sulle auto a basse emissioni è coerente anche con le previsioni normative contenute nel decreto-legge sulle liberalizzazioni che sostenevano la diffusione del GPL e del metano presso i distributori di carburante italiani, in modo da rafforzare lo sviluppo anche di questa forma di mobilità sostenibile.
In questa chiave, apro per una brevissima parentesi su un punto sollevato dall'onorevole Damiano, che riguarda la crisi di Irisbus, sulla quale - come l'onorevole sa - abbiamo un tavolo in corso al Ministero dello sviluppo economico. Stiamo seguendo con grande attenzione la crisi di questa impresa. Con i sindacati e l'azienda abbiamo definito un piano di riutilizzo del personale di Irisbus.
Resta il tema se è possibile garantire a Irisbus come impresa che produce autobus un futuro in quanto tale. Su questo giustamente l'onorevole Damiano ci richiamava l'esigenza di avere un piano nazionale per il trasporto pubblico. Questo richiamo noi lo accogliamo. Sottolineiamo che questo piano nazionale per il rilancio del trasporto pubblico deve però passare anche per un recupero di efficienza del mondo delle imprese di trasporto pubblico locale e che, da questo punto di vista, noi stiamo discutendo con le regioni e con gli enti locali per dare un contesto di maggiore spinta, sollecitazione e incentivo all'efficienza. Infatti, è essenziale un guadagno di efficienza in questo settore per liberare risorse proprio per poter rilanciare gli investimenti nel settore, dai quali dipende, come diceva prima l'onorevole Damiano, la sorte delle imprese che producono autobus e, quindi, anche quella di Irisbus.
Poi c'è un secondo terreno, di cui stiamo discutendo con i sindacati, che riguarda un guadagno di efficienza che dovrà essere effettuato all'interno di Irisbus stessa perché, comunque, quello che abbiamo verificato al tavolo è una insufficiente competitività dello stabilimento che rende difficile o comunque problematico il fatto che, di fronte ad una ripresa del mercato alla quale stiamo lavorando nei termini che dicevo prima, poi questa impresa abbia le sue carte da giocare per poter rispondere alla domanda di mercato.
Per quanto riguarda poi il gruppo FIAT, prima di tutto ribadisco che il Governo italiano attribuisce grande importanza al fatto che il gruppo FIAT, pur nell'ambito di un processo di globalizzazione che ha i meriti che anche l'onorevole Damiano riconosceva prima, mantenga un cuore produttivo e un cervello imprenditoriale dentro il nostro Paese e, quindi, l'Italia sia al centro delle strategie FIAT, pur nell'ambito di questo processo di globalizzazione. Noi diamo grande importanza a questo punto e lavoriamo in questa direzione. E qui è chiaro che il progetto Fabbrica Italia svolgeva un ruolo molto importante e deve svolgere un ruolo molto importante. Quando l'onorevole Damiano si interroga su che fine ha fatto il progetto Fabbrica Italia, credo che lui pone un problema reale nel senso che è chiaro che c'è stata una battuta d'arresto e che questa battuta d'arresto è legata alla crisi in cui il mercato dell'auto nel nostro Paese, in Europa e a livello internazionale si trova in questo momento, crisi che ha cambiato lo scenario rispetto a quello nel quale era stato elaborato il progetto. Ma noi crediamo che il progetto mantenga la sua validità di fondo e che, quindi, vada rilanciato con riferimento al cambiamento di scenario in cui siamo. E qui è chiaro che FIAT, con quel progetto, ha preso degli impegni e che il Governo italiano intende monitorare e verificare il fatto che questi impegni siano mantenuti. Da questo punto di vista, segnalo che c'è aperto complessivamente un dialogo con l'azienda, con i sindacati, proprio nel seguire le dinamiche del gruppo FIAT con riferimento agli impegni che sono stati presi.
È chiaro però che il futuro del gruppo FIAT si gioca sulla capacità di innovare, di produrre nuovi modelli, di ammodernare continuamente gli impianti. È questo il punto di maggior rilievo per una strategia di rilancio del gruppo FIAT nel nostro Paese.
Qui noi abbiamo accolto positivamente l'investimento realizzato a Pomigliano, che, pur con le difficoltà legate alla situazione di mercato attuale, comunque ha garantito la ripresa produttiva di un sito che sembrava aver perso la sua missione produttiva e, quindi, il rinnovamento del sito di Pomigliano ed il lancio di nuovi modelli in questo sito l'abbiamo accolto con molto favore. Stiamo gestendo, come da accordo di programma del dicembre scorso, la crisi di Termini Imerese, che è una situazione di grande difficoltà, come l'onorevole Damiano ricordava prima. La stiamo gestendo di fronte ad una difficoltà insorta da parte dell'interlocutore industriale che doveva subentrare a FIAT nel sito. Di fronte a questa difficoltà prima di tutto abbiamo messo in sicurezza i lavoratori di Termini Imerese attraverso sia la norma sugli esodati, contenuta nella spending review, sia attraverso il fatto che basandoci su quella norma siamo in grado di rinnovare poi la cassa integrazione per il secondo anno. Ma sopratutto siamo impegnati a riaprire una prospettiva di soggetto imprenditoriale che subentri a FIAT nel settore dell'auto, sullo stabilimento di Termini Imerese, come stabilimento per la produzione di auto.
Quindi stiamo seguendo con attenzione la situazione nei vari stabilimenti FIAT. Stiamo in continuo contatto con l'azienda e con i sindacati riguardo al mantenimento degli impegni presi dall'azienda. Stiamo sollecitando una strategia industriale in grado di rilanciare il gruppo FIAT in Italia attraverso processi di innovazione, di lancio di nuovi modelli e così via.
Vengo a questo punto ad un'altra delle questioni poste dall'onorevole Damiano e dagli altri presentatori dell'interpellanza urgente, cioè la questione delle iniziative che il Governo intende adottare al fine di mantenere e rafforzare i connotati industriali del sistema economico italiano, favorendo i settori a più alta intensità innovativa e tecnologica. Su questo punto credo che la linea del Governo sia molto chiara, l'abbiamo assunta sin dalla costituzione di questo Governo: per noi è essenziale fare in modo che il nostro Paese rimanga la seconda economia industriale manifatturiera d'Europa. Il settore manifatturiero è un asse portante dell'economia italiana, ma anche della coesione sociale del nostro Paese e della cultura del lavoro nel nostro Paese. C'è una cultura industriale italiana che va preservata e valorizzata e può essere la base per il rilancio più complessivo dell'economia italiana.
Su questo punto vorrei anche sottolineare come abbiamo dei punti di forza, che purtroppo naturalmente di fronte all'incalzare della crisi vediamo meno sulle pagine dei giornali, ma in realtà dobbiamo saperlo: abbiamo dei punti di forza importanti. Alcuni settori si sono ristrutturati e riconvertiti in questi anni e, pur nella situazione di crisi, mostrano una capacità di espansione delle esportazioni significativa.
Questo ci fa ben sperare. Naturalmente non possiamo adagiarci su questo, ma ci fa ben sperare, perché vi è un capacità dell'industria italiana di rinnovarsi. Il compito del Governo su questo è costruire le condizioni di contesto entro le quali l'industria italiana possa riprendere fiato e slancio. In merito crediamo che i provvedimenti che abbiamo adottato siano importanti, come provvedimenti di natura strutturale, che magari daranno i loro frutti nel tempo, ma li daranno. Pensiamo, in particolare, alle liberalizzazioni, al contesto di mercato competitivo da garantire e sviluppare; al decreto-legge «liberalizzazioni» e, da ultimo, al decreto-legge «sviluppo», con tutta la normativa in materia di incentivi, che saranno finalizzati a innovazione, internazionalizzazione e, naturalmente, anche alle aree di crisi industriale. Il discorso sarebbe naturalmente più ampio, ma lo abbiamo affrontato proprio in questi giorni nelle nostre discussioni sul decreto-legge «sviluppo» in Commissione e poi qui in Aula. L'ultima cosa che segnalo è che, per quanto riguarda il comparto dell'auto, abbiamo già convocato un tavolo dell'intera filiera del comparto - la prima riunione si è tenuta a fine maggio -, per analizzare e raccogliere i punti di vista degli operatori circa la crisi del settore, e abbiamo constatato situazioni anche differenziate. Per esempio, tra i settori che esportano e che hanno avuto capacità di riposizionamento sui mercati Pag. 47vi è tutta la componentistica auto, che è un perno molto importante della filiera. Crediamo, naturalmente, di aver attivato questo tavolo per lavorare con gli operatori del settore e con i sindacati per individuare politiche che consentano di sostenere, supportare e cooperare intorno al settore, per un suo stabile rilancio produttivo.

PRESIDENTE. L'onorevole Damiano ha facoltà di replicare.

CESARE DAMIANO. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario. Di solito mi viene chiesto se sono soddisfatto o insoddisfatto della risposta; me lo chiedo da solo e dico che il mio è un giudizio che in termini sindacali si direbbe articolato: sono parzialmente soddisfatto.
Vi è un punto di non soddisfazione nelle sue risposte, ed è questo: noi pensiamo sia giunto il momento di convocare l'azienda e che non sia più sufficiente avere un'interlocuzione, per quanto quotidiana e sistematica, con l'azienda. Ciò per due semplice fatti. Il primo, come da lei ricordato - e valuto positivamente questo passo -, è che il decreto-legge «sviluppo» dota il nostro Paese di risorse per quasi 200 milioni di euro nel prossimo triennio per l'auto elettrica e le auto a bassa emissione. In secondo luogo perché, come lei saprà, signor sottosegretario, la Banca europea per gli investimenti ha deciso di stanziare 350 milioni di euro a favore di FIAT Industrial, per sostenere le attività di ricerca e sviluppo. L'accordo, sottoscritto alla presenza del presidente di FIAT Industrial Sergio Marchionne, fornirà nuovi fondi ai siti di ricerca italiani (83 per cento), tedeschi (8 per cento) e svizzeri (9 per cento), e punta a ridurre drasticamente i consumi e le emissioni dei veicoli di nuova progettazione.
Allora, se siamo a questo punto (a circa 540 milioni di euro, se sommiamo tutti questi nuovi investimenti di risorse), sarebbe giusto che il Governo chiedesse alla FIAT come intende utilizzare queste risorse: per investire dove? Su quali prodotti? Infatti, abbiamo carenza di prodotti. Dato che conosco bene la situazione della FIAT, non vorrei trovarmi come al tempo di Romiti, nel quale la FIAT produsse la «Uno» per più di dieci anni - era diventata la gallina dalle uova d'oro -, ma fermandosi a quell'unico prodotto non si era accorta che, nel frattempo, la concorrenza aveva prodotti molto più innovativi e di alta qualità, che, ovviamente, portarono l'azienda FIAT sull'orlo del fallimento, con tutti i processi di ristrutturazione di quegli anni.
Quindi noi insistiamo sul fatto che sia giunto il momento, di fronte a queste novità, di chiarire, perché non vorremmo che, di fronte ad una componentistica che si è rivelata vitale e capace di servire tutti i produttori mondiali con prodotti di qualità, rimanesse la componentistica e sparisse il settore dell'auto in Italia. Questo non ce lo possiamo permettere.
Il secondo argomento - positivo, invece, in questo caso - è l'accenno che lei ha fatto a Irisbus. Mi fa piacere che il Governo comprenda la necessità di dotarsi di un piano nazionale di trasporto pubblico e che abbia avviato un confronto con gli enti locali. Noi abbiamo un parco bus obsoleto che dovrà essere rimpiazzato ed è giusto che sia rimpiazzato con prodotto e con lavoro italiano di qualità.
Sono sicuro che, con il confronto con le organizzazioni sindacali, quell'efficienza alla quale lei faceva riferimento (non solo di settore, ma anche all'interno dello stabilimento) potrà essere recuperata, se a quei lavoratori e a quello stabilimento si darà un destino produttivo. Infine, per quanto riguarda Termini Imerese, anche noi vorremmo mantenere la vocazione automobilistica di quel sito. Ci pare che per il momento i tentativi di trovare una soluzione industriale siano andati a vuoto. Bisogna insistere, ma anche in questo caso si tratterebbe di dare una accelerazione.
È vero che nella spending review - vedremo qual è il risultato per la questione relativa ai cosiddetti esodati - avete messo al riparo quei lavoratori di Termini Imerese, però vorrei sommessamente far notare che, se la formula rimane valida soltanto per gli accordi di mobilità sottoscritti Pag. 48a livello ministeriale, voi salvate Termini Imerese, ma condannate tutte le situazioni che hanno sottoscritto accordi di mobilità al di fuori dei tavoli ministeriali e questo non va assolutamente bene, perché quel passo avanti compiuto deve significare un altro passo avanti anche per gli accordi di mobilità stipulati in altre sedi.
Quindi, come dicevo - ho concluso - il mio è un giudizio «articolato». Soprattutto, ritengo ancora insufficiente l'azione del Governo, perché non è determinato a convocare le aziende, successivamente le parti sociali, per fare il punto della situazione. Immagino che queste nuove risorse che verranno messe a disposizione per l'innovazione tecnologica di questo settore siano di stimolo per riprendere il piano «Fabbrica Italia», perché è il caso di dire: chi l'ha visto?
È scomparso e bisogna che ricompaia, anche perché sappiamo perfettamente qual è la situazione di crisi, non solo italiana, del settore automobilistico, ma non possiamo nasconderci il fatto che il prezzo che paga l'Italia è molto più pesante di quello che pagano gli altri Paesi e in fondo, come tutti ci hanno insegnato, nella crisi ci sono anche le opportunità.
Si tratta di non abbandonare il campo e di seguire la strada degli investimenti e della ripresa: dare attuazione a quelli che sono stati gli impegni presi dall'azienda e, per dare attuazione, bisogna che il Governo svolga un'azione di stimolo nei confronti dell'impresa e dell'insieme del settore produttivo nazionale.


Condividi

 

Per sostenere la nostra associazione è possibile effettuare una donazione:

C/C Postale N° 001025145325
Associazione Lavoro&Welfare
Codice IBAN: IT81W0760103200001025145325

Via Gaspare Spontini, 22
00198 Roma

Tel. 06 67606729

lavorowelfare@gmail.com