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Di: Lavoro&Welfare di mercoledì 18 luglio 2012 11:23

PER UN GIUDIZIO EQUANIME SULLA RIFORMA DEL LAVORO

di Giovanni Battafarano - Segretario dell'associazione L&W

La Camera dei deputati il 27 giugno ha approvato in via definitiva “La riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita”, senza modificare il testo già approvato qualche settimana fa dal Senato. Com’è noto, tale approvazione è avvenuta su richiesta del Presidente del Consiglio Monti, che ha voluto presentarsi al Consiglio europeo di Bruxelles forte di un’ulteriore dimostrazione che l’Italia ha svolto diligentemente i compiti a casa ed ha chiesto e, per la verità , ottenuto  dall’ Unione europea l’adozione di misure per fronteggiare l’attacco speculativo e stimolare la crescita. Non che mancasse la volontà delle forze di maggioranza di modificare taluni aspetti della legge, sui quali torneremo più avanti, ma alla fine ha prevalso la scelta di non indebolire il Governo italiano alla vigilia di un Vertice europeo per molti aspetti decisivo per il futuro dell’euro.

La riforma è stata in questi mesi oggetto di valutazioni fortemente contrastanti, come normalmente avviene per le leggi lavoristiche, essendo il punto di vista delle forze politiche, e spesso delle forze sociali , chiaramente alternativo. Mi pare utile quindi esaminare come si sono mossi i principali attori politici e sociali in questa complessa partita, che si è snodata per sei mesi, a differenza della riforma delle pensioni, approvata a dicembre scorso in poche settimane.

Cominciamo dal Governo. Il Presidente Monti e il Ministro Fornero hanno, con una certa enfasi, presentato la riforma come uno strumento utile  a rilanciare l’occupazione, in particolare a favore dei giovani, trascurando che, in realtà, anche la più efficace legge in materia di regole del mercato del lavoro non riesce a creare occupazione, specie in periodi di crisi. Occorrerebbe una diversa politica europea, orientata alla crescita e non ad una rigida austerità; occorrerebbe un Piano per l’occupazione giovanile, come ho ricordato nell’articolo del Corriere “Uno spreco di talenti…”. Insomma per tanti italiani, è parso che ci si occupasse di falsi problemi, come la modifica dell’articolo 18, piuttosto che dei dati drammatici delle aziende che chiudono, della cassa integrazione dilagante, della recessione galoppante. La scelta poi della consultazione delle forze sociali, e non della concertazione con le stesse, ha lasciato aperto un fronte di critica e di protesta, specie con i sindacati, che è andato crescendo, anche in relazione alla cosiddetta vicenda degli esodati. La riforma delle pensioni di dicembre ha completamente ignorato la transizione dal vecchio al nuovo sistema, con il risultato che centinaia di migliaia di lavoratori si trovano senza retribuzione e senza pensione. I sindacati, in particolare la CGIL, ma via via anche gli altri, hanno assunto un atteggiamento critico nei confronti della riforma. Ritengo che il metodo della concertazione, opportunamente definito, sia il più idoneo a costruire il consenso necessario intorno a riforme che attengano al lavoro, alla previdenza, al welfare. Anche la Confindustria non ci è andata leggera. La Marcegaglia al Financial Times ha parlato di “ very bad text”; l’attuale Presidente Squinzi ha preferito l’italiano “boiata”, aggiungendo tuttavia, con un’autentica acrobazia dialettica, che occorreva approvarla subito.

Quanto alle forze politiche, PDL PD UDC si sono impegnate al Senato per ottenere significativi miglioramenti, partendo da punti di vista profondamente diversi, mentre il via libero alla Camera è stato condizionato all’impegno assunto dal Governo ad apportare talune modifiche, utilizzando i prossimi veicoli parlamentari, a partire dal Decreto Sviluppo. Ciò nonostante, alla Camera circa metà dei deputati PDL non ha votato a favore della legge, scegliendo  l’astensione o il voto contrario o la non partecipazione. E’ probabile che, oltre al merito della riforma del lavoro, pesi anche un progressivo distacco di larga parte del PDL dal sostegno al Governo Monti per ragioni politiche complessive. Le forze politiche di opposizione presenti in Parlamento, come IDV e Lega, o fuori di esso, come SEL e Federazione della sinistra, hanno tenuto una linea fortemente critica nei confronti della riforma.

Conviene allora ricapitolare gli aspetti centrali della stessa, in relazione ai quattro aspetti centrali: flessibilità in uscita, flessibilità in entrata, ammortizzatori sociali, partecipazione dei lavoratori.

Flessibilità in uscita- Gli aspetti salienti sono due: la durata delle cause di lavoro e la questione dell’art.18. La riforma stabilisce tempi certi e rapidi per le cause. Ad esempio, il giudice fissa l’udienza non oltre quaranta giorni dal deposito del ricorso avverso un licenziamento ritenuto illegittimo, e tempi certi e rapidi sono fissati anche per altri momenti e adempimenti processuali. Insomma, non sarà più possibile che cause di lavoro per licenziamento durino sei- sette anni, con grave danno sia del lavoratore sia dell’impresa.

Sull’art.18, la soluzione individuata, molto vicina al modello tedesco, prevede la possibilità per il giudice, in caso di licenziamento illegittimo per “manifesta insussistenza”, di procedere o all’ indennizzo o alla reintegra. In tal modo si è evitato sia il rischio dell’immobilismo, che verosimilmente i mercati internazionali avrebbero sanzionato, sia lo smantellamento delle tutele, molto caro ai settori conservatori più per ragioni ideologiche che per reali motivazioni economiche.

Flessibilità in entrata- La scelta forte è quella dell’apprendistato come canale principale di ingresso nel mercato del lavoro, in alternativa a varie forme contrattuali precarizzanti. Inoltre, per i lavoratori a progetto si stabilisce un salario minimo di base per ciascun settore di attività, tenendo conto dei contratti affini dei lavoratori subordinati, per evitare che l’aumento dei contributi si scarichi sulle loro retribuzioni. Si stabilisce un compenso congruo per gli stage, mentre l’impiego dei “voucher” in agricoltura, commercio, servizi è stato regolamentato per evitare un indebolimento del contratto nazionale di lavoro. Il ricorso alla partita IVA viene sottoposto a verifica contro eventuali distorsioni, sulla base della durata del contratto, del reddito prodotto nell’anno e di una eventuale sede fissa presso il committente.

Ammortizzatori sociali- La riforma introduce l’ASPI(Assicurazione sociale per l’impiego), che a regime (nel 2017) sostituirà la mobilità ed altre indennità minori. L’ASPI è uno strumento solo potenzialmente universale e in grado quindi di rivolgersi a tutti i lavoratori e superare esclusioni e disarmonie. Il limite è che nella transizione non copre adeguatamente il lavoratore in caso di perdita dell’occupazione, specie in relazione all’allungamento dell’età pensionabile stabilito dalla riforma previdenziale. Potrebbe replicarsi il serio problema degli “esodati”, tuttora insoluto per centinaia di migliaia di lavoratori.

Partecipazione dei lavoratori- Un’innovazione positiva è stata introdotta al Senato all’art.4,commi 62-63: una Delega al Governo per emanare uno o più decreti  legislativi in materia di coinvolgimento dei lavoratori nell’impresa, obblighi di informazione, consultazione, negoziazione; istituzione di organismi congiunti o paritetici; controllo sulle scelte aziendali; partecipazione dei lavoratori agli utili di impresa. In altre parole, si avvia anche in Italia la pratica della codeterminazione, che in Germania ha dato buoni frutti ed è una delle ragioni del dinamismo dell’economia tedesca, degli alti salari e delle positive relazioni industriali. Naturalmente, l’innovazione dovrà partire dalle aziende di medio- grandi dimensioni e dovrà misurarsi con lo specifico delle relazioni industriali nel nostro Paese. Tuttavia, proprio la presenza della crisi induce a sperimentare, innovare, scommettere su un positivo coinvolgimento dei lavoratori nelle sorti dell’impresa, piuttosto che nella ricerca costante dell’indebolimento delle loro tutele e dei loro diritti.

Accennavo in precedenza alle modifiche concordate. Esse riguardano la questione degli esodati, il miglioramento della flessibilità in entrata, la possibilità che l’ASPI, la nuova assicurazione sociale, entri in funzione nel 2014, per evitare un rischioso impatto con la crisi in atto. Le modifiche raccolgono in buona misura i contenuti dell’intesa Confindustria- Sindacati e quindi, se accolte, potrebbero arricchire il testo del contributo delle forze sociali, che finora è stato abbastanza limitato. Naturalmente, alcune modifiche comportano un aumento di spesa e richiedono la necessaria copertura finanziaria.

La riforma del lavoro è stata giudicata positivamente dalla UE, dalla BCE, dall’OCSE, cioè dalle principali Istituzioni internazionali, che seguono con molta attenzione l’impegno dell’Italia nell’affrontare la crisi. Se ci spostiamo sul fronte interno, il testo approvato appare un punto di equilibrio tra diverse visioni di riforma del mercato del lavoro. Non mancano le innovazioni, non mancano i punti deboli. Era difficile pretendere di più da una maggioranza così composita e così differenziata sul tema del lavoro. La riforma, tuttavia, riguarda le regole, che, da sole, difficilmente creano occupazione. Occorre che accanto alla riforma del mercato del lavoro si avvii anche un Piano nazionale per l’occupazione, che appare sempre più indispensabil

 

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