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Di: Lavoro&Welfare di martedì 17 aprile 2012 09:09

Precari senza piangersi addosso

Lineare ed efficace il discorso di Giorgia D'Errico mercoledì 11 al Salone dei Cavalieri, sul tema “Giovani: una generazione precaria? Un futuro diverso è possibile”, incontro promosso dal Partito Democratico e introdotto dal segretario Luigi Pinchiaroglio.

D'Errico, a soli 31 anni, è coordinatrice nazionale della Sezione Giovani dell'Associazione “Lavoro & welfare”, ed ha affrontato il tema senza le consuete lamentazioni sulla crudeltà del sistema, senza le fughe in avanti di chi invoca il ribaltamento del mondo e non lo graffia nemmeno un poco, e senza le fumosità del linguaggio politichese (che occorrano davvero i giovani e le donne per cambiare registro?….).

La flessibilità esiste, ha i suoi pregi e i suoi guasti, comunque è inevitabile: tanto vale mettersi il cuore in pace, cercare di contenerla per quanto è possibile, e chiedere le contropartite giuste e logiche. La prima: “io sono disposta a lavorare sei mesi – ha detto Giorgia – e poi avere un periodo di vuoto e poi un altro contratto a termine: ma tra l'uno e l'altro periodo voglio essere garantita, con un welfare che si prenda cura di me nei periodi di interruzione”. Questo è una sorta di minimo etico-sindacale, poi si cercherà di ridurre i contratti a termine e di migliorare le altre condizioni, ma su questo punto nessun vincolo di bilancio, nessuna Marcegaglia o altri può opporsi.

In secondo luogo la flessibilità non la si può chiedere solamente ai giovani: se essi devono adattarsi alle esigenze del sistema-paese, “è tempo che anche il paese si adatti a noi”, ha proseguito D'Errico con un'immagine felice. E' inconcepibile che per ottenere un mutuo, per stipulare un contratto di affitto o per qualsiasi altro impegno consistente, non basti dimostrare di avere un lavoro, di avere un compagno che ha a sua volta un lavoro a tempo indeterminato, ma occorra il certificato di matrimonio (“le coppie di fatto possono sempre sciogliersi”) o la garanzia dei genitori (“sì, il lavoro oggi c'è, ma domani…”). L'adattabilità sta bene, ma a patto che l'altra parte del paese non continui con le sue comode rigidità a senso unico.

La rassegna delle manchevolezze è stata franca e bilaterale, come non sempre accade di ascoltare. Sì, è vero che i giovani sono poco disposti alla mobilità su scala internazionale; ma che cosa si fa per trattenerli, o per agevolarne il ritorno dopo che sono andati fuori a fare esperienza? Sì, è vero che una parte almeno dei giovani fatica ad acquisire il “senso di responsabilità verso il lavoro” (la voglia, detto in termini brutali); ma come si fa a coltivare questa responsabilità, quando si sa che si verrà gettati via al primo sussulto? quando non ci si riesce a liberare dei 46 tipi di contratto, che rendono una trappola qualsiasi pezzo di carta? quando si vive di contratti a progetto, nei quali il progetto è oscuro e pretestuoso? quando si continua a fare firmare le dimissioni in bianco all'atto dell'assunzione? (vale la pena di ricordare che Prodi cancellò questa vergogna, e Berlusconi subito la ripristinò).

Sia dato merito al PD, ha concluso D'Errico, che con il suo “Piano giovani” si sta confrontando con chi la precarietà la vive, e sta cercando di inserire in questo piano tutta la creatività (e, aggiungo io, tutta la dignità e la pazienza) dei giovani, di cui cantiamo le lodi e seppelliamo le attese.

Elvio Fassone

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