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Di: Lavoro&Welfare di domenica 4 gennaio 2015 22:49

Quelle capanne chiamate Roma

51Vl+HJ+5hL._SY344_BO1,204,203,200_Gli scavi effettuati negli ultimi trent’anni sul colle Palatino hanno confermato la presenza di un insediamento umano, costituito da una serie di villaggi sulle alture prospicienti il Tevere intorno alla metà dell’ottavo secolo avanti Cristo: una realtà che si identifica con Roma e che attenua quell’aura di leggenda che avvolge le origini della Città Eterna e le restituisce ulteriori elementi di conferma storica. Traendo spunto da questo rinnovato impegno archeologico,  inevitabilmente confinato nella cerchia ristretta degli addetti ai lavori, due giovani autori Claudio Valente e Andrea Montesanti hanno dato vita ad un romanzo storico ambientato appunto nella Roma delle origini, Quelle capanne chiamate Roma, Reverdito Editore, Trento, 2014. Scrivere un romanzo storico su Romolo, eroe eponimo, personaggio avvolto da un’aura mitica, può sembrare un’operazione azzardata, ma il libro si legge volentieri ed ha il merito di riproporre al lettore medio, vicende e personaggi studiati a scuola e poi accantonati, perché troppo lontani dalle vicende e dalla cultura dei nostri tempi.

Siamo appunto a metà dell’ottavo secolo, la Roma dell’epoca può contare su una eccellente collocazione intorno al fiume Tevere. I suoi abitanti sono prevalentemente dediti alla cura degli armenti, anche se da qualche tempo cominciano a cimentarsi con i commerci. Devono tuttavia fare i conti con i popoli vicini,  Sabini e  Albani, che hanno già sconfitto e in parte integrato nella loro organizzazione sociale, ma specialmente con i potenti vicini a nord del Tevere, gli Etruschi, i quali avevano già raggiunto un alto livello di civiltà e di potenza militare e commerciale. Se fino ad allora il Tevere aveva costituito il limite meridionale di espansione etrusca verso Sud, le città ricche e bellicose di Fidene, Veio, Tarquinia accarezzavano sempre più il disegno di espandersi oltre Tevere, ben sapendo tuttavia che avrebbero dovuto fare i conti con l’emergente potenza romana. Perciò non tutti gli Etruschi spingevano per la guerra e il partito militarista cercava di provocare i Romani per costringere gli stessi alla guerra. Un personaggio misterioso e spietato, l’Avvoltoio, si incaricava di organizzare razzie e saccheggi in territorio romano. Varie loro scorrerie colpiscono in particolare la Gens Fabia. La struttura sociale romana dell’epoca era basata sulle Gentes, vere e proprie città nella città, le quali riconoscevano solo in parte l’autorità del Re Romolo ed erano gelose della loro autonomia. Di fronte alle continue provocazioni dell’Avvoltoio e degli Etruschi, Sesto Fabio, il giovane capo della Gens, vuole aprire le ostilità, ma incontra le resistenze del Re Romolo.

Romolo, vinto il confronto con il fratello Remo, ha avviato un corso diremmo oggi di pacificazione nazionale, e non è affatto incline alla guerra, vorrebbe risolvere il problema in altro modo, anche in relazione alla difficile situazione interna. Romolo gode del consenso del popolo, ma non del Senato, dove siedono vari esponenti schierati in passato con Remo ed altri nobili che non sopportano il progressivo rafforzamento del potere monarchico. L’evolversi della vicenda descrive anche una sorta di presa del potere reale da parte di Romolo, il quale ha assommato nella sua persona, oltre il potere politico e militare, anche il potere sacerdotale. Romolo è solenne e misurato nelle sue vesti sacerdotali, come feroce e spietato da guerriero (p.214). Romolo inoltre diffida dei Fabi, in passato schierati con Remo, e vuole risparmiare lutti e sofferenze al suo popolo, già provato dalle guerre con Albani e Sabini.  Sesto e i Fabi decidono di attaccare Fidene etrusca senza l’autorizzazione regia, ma Romolo schiera il suo esercito contro i Fabi e li mette  di fronte ad un difficile dilemma: ordinare un’umiliante ritirata o scontrarsi direttamente con le truppe regie e andare incontro a sconfitta e morte certa. Sesto Fabio  avverte forte la tentazione della sfida a Romolo, ma un aiuto insperato gli viene proprio dai fidenati, che, sempre più pervasi da furore bellicista, hanno attaccato i rifornimenti romani sul Tevere, provocando direttamente Romolo e spingendolo alla guerra. Attraverso una serie di vicende abilmente narrate, la guerra si avvia al suo epilogo: Roma unita è più forte; Sesto si cimenta in uno scontro diretto con l’Avvoltoio e lo uccide. Roma recupera lo “spirito” nazionale, il potere di Romolo si rafforza, la Gens Fabia si riconcilia con il sovrano. La minaccia etrusca viene per il momento allontanata, anche se rimarrà forte ancora per vari decenni. Quelle capanne sono diventate una città.

Il romanzo di Valente e Montesanti denota una buona conoscenza delle fonti storiche e monumentali, una sicura capacità di narrazione e di analisi e ha il merito di innestare nella vicenda storica quegli elementi di creatività personale che rendono il libro interessante e piacevole.

Giovanni Battafarano

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